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Il 28 gennaio 2025 la Santa Sede ha diffuso Antiqua et Nova. Non è un comunicato tecnico, non è un parere etico di circostanza. È un documento di 117 paragrafi che affronta il cuore del dibattito contemporaneo: l’intelligenza artificiale non è neutra. È già dentro la politica, l’economia, la guerra, la salute, l’educazione. Il Vaticano non si limita a raccomandazioni vaghe. Introduce un principio netto: la tecnologia va guidata dal senso, non dal profitto. “Intelligenza” significa orientarsi al significato, non accumulare dati. È un cambio di tono radicale. Fino a ieri il linguaggio ecclesiastico era prudente, quasi marginale rispetto alle agende di governi e multinazionali. Ora è frontale. Nessuna macchina deve decidere della vita e della morte. Nessun sistema deve oscurare la libertà interiore. Nessun algoritmo deve diventare oracolo. Il monito arriva in un momento di accelerazione. Gli Stati Uniti spingono per standard globali ma sono divisi tra sicurezza e competizione economica. La Cina investe senza limiti apparenti. L’Europa tenta di regolare, ma le lobby tecnologiche filtrano ogni norma. In mezzo, la voce vaticana propone un asse alternativo: la dignità come metrica primaria. Il punto più critico riguarda gli armamenti autonomi. Il documento parla chiaro: lasciar decidere a un software chi vive e chi muore è una soglia che non deve essere superata. Una linea rossa netta. Non si tratta solo di droni. L’intelligenza artificiale sta penetrando nella vita quotidiana, nel lavoro, nella scuola. Qui il richiamo è ancora più sottile. Non basta misurare la produttività. Bisogna misurare la qualità dell’attenzione. La nitidezza delle intenzioni. La trasparenza delle decisioni. Il Vaticano non usa la parola “silenzio”, ma la logica è lì. Senza silenzio, l’umano arretra. Nel rumore costante di notifiche, dati e algoritmi, il rischio non è solo sbagliare. È smettere di pensare. Le implicazioni sono concrete. Nelle imprese: un minuto di silenzio prima delle riunioni strategiche. Niente schermi nelle prime ore del mattino per chi guida team complessi. Revisione dei flussi informativi: non tsunami di dati, ma segnali essenziali. Responsabilità tracciabile: ogni decisione deve avere un volto umano riconoscibile. Nelle scuole: alfabetizzazione etica. Spiegare agli studenti che un “non so” sincero è più prezioso di una risposta istantanea ma opaca. Far capire che delegare la coscienza a un software è il vero rischio, non l’errore tecnico. Il silenzio, allora, diventa criterio. Non assenza. Non vuoto. Ma spazio di scelta. È nel silenzio che si distingue la paura dalla cura. È nel silenzio che si avverte se un atto nasce dalla coscienza o da un riflesso condizionato. Ecco il paradosso: non saranno i codici a salvarci dall’eccesso di codici. Sarà la capacità di sospendere. Il prossimo vantaggio competitivo non sarà il nuovo modello di IA. Sarà il protocollo del silenzio. Un minuto. Prima di decidere. Chi lo regge, è pronto a governare macchine intelligenti. Chi non lo regge, è già governato da esse.
Pubblicazioni e Saggi
Paolo D'Arpini
Insistere troppo su valori astratti "teisti" non aiuta la mente umana al superamento del pensiero patriarcale. Dobbiamo -secondo me- abbandonare la speculazione religiosa e ritornare ad una spiritualità priva di dogmi e non specificatamente legata al genere (il sacerdozio nelle religioni monoteiste di origine semita è precluso alle donne). Per carità, va anche bene fare un'analisi storica sulla formazione del cristianesimo e di come questa religione "semita" abbia attinto al paganesimo pre-esistente. Tra l'altro la rivalutazione del paganesimo è una delle caratteristiche portanti non solo nel filone New Age ma anche in ricerche storiche serie, come ad esempio quella di Daniel Danielou sul mito di Dioniso-Shiva. Ma dovremmo andare anche più in là riscoprendo i culti più antichi e vicini alle nostre radici, ovvero l'adorazione della Grande Madre o Energia Primordiale (Shakti). Spesso durante le feste da noi organizzate, soprattutto quelle in concomitanza con i solstizi e gli equinozi o per la luna piena e nuova, mettiamo in evidenza gli aspetti sincretici fra cristianesimo e “neo-paganesimo”, facendoli coincidere con il nostro spirito laico e simpatetico con la Spiritualità della Natura. Ad esempio, è avvenuto che durante alcune cerimonie, già da noi predisposte, si aggiungessero riti diversi con offerte alle divinità e fate dei boschi o dei corsi d'acqua, il tutto magari collegandolo a credenze o leggende cristiane... (tanto per fare un esempio ricordo la Vigilia di San Giovanni, con il battesimo dell'acqua e del fuoco, etc.). Io lascio fare perché in fondo il riconoscere il Genius Loci e la sacralità della natura in tutte le sue forme è uno degli aspetti della spiritualità laica e dell’ecologia profonda, che ci contraddistingue. In effetti la spiritualità della natura è un aspetto riconosciuto anche nella fede cristiana antica, soprattutto nel misticismo (sia in quello primitivo che in quello francescano) in cui prevale la consuetudine di ritirarsi in grotte, boschi e deserti in stretta comunione con gli elementi naturali e con il mondo animale. Aspetti pagani erano presenti persino nella religione ebraica, sia pur condannati, come ad esempio l’adorazione della vacca sacra durante la traversata del Sinai, oppure riconosciuti e facenti parte della tradizione come avvenne presso la setta degli Esseni che vivevano in strettissima simbiosi con la natura e con i suoi aspetti magici, avendo essi sviluppato anche la capacità di trarre il loro nutrimento dal deserto, un grande miracolo questo considerando che erano persino vegetariani…. Il rispetto e l’adorazione della natura, definito dalla chiesa cattolica (un po’ dispregiativamente) “panteismo” è uno degli stimoli da sempre presenti nell’uomo, tra l’altro questo sentimento panteista è alla base dell' excursus evolutivo della specie. Ciò mi fa ricordare una storiella, che amo spesso raccontare, sull’origine della specie umana. Ormai è certo che ci fu una “prima donna”, un’Eva primordiale. L’analisi del patrimonio genetico femminile mitocondriale lo dimostra inequivocabilmente. Mi sono così immaginato una donna, la prima donna, che avendo raggiunto l’auto-consapevolezza (la caratteristica più evidente dell’intelligenza) ed avendo a disposizione solo “scimmioni” (tali erano i maschi a quel tempo) dovette compiere una opera di selezione certosina per decidere con chi accoppiarsi in modo da poter avere le migliori chance di trasmissione genetica di quell’aspetto evolutivo. E così avvenne conseguentemente nelle generazioni successive ed è in questo modo che pian piano dalla cernita nell’accoppiamento sono divenute rilevanti qualità come: la sensibilità verso l’habitat, l’empatia, la pazienza, la capacità di adattamento e di gentilezza del maschio verso la prole e la comunità, etc. etc. Pregi che hanno portato la specie verso una condizione “intelligente” che riconosciamo (o riconosceremmo se nel frattempo non fosse subentrata una spinta maschilista involutiva). Purtroppo in questo momento storico, in seguito all’astrazione dal contesto vitale e alla manifestazione della religiosità in senso metafisico (proiettata ad un aldilà ed ad uno spirito separato dalla materia), molto di quel rispetto (e considerazione) verso la natura e l’ambiente e la comunità è andato scemando, sino al punto che si predilige la virtualizzazione invece della sacralità vissuta nel quotidiano. Ed in questo buona parte della responsabilità è da addebitarsi al radicamento dei credo monoteisti (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam). Ma quello che era stato scacciato dalla porta spesso rientra dalla finestra, infatti la psicologia sta riscoprendo i miti, le leggende e le divinità della natura descrivendole in forma di “archetipi”. All’inizio della civilizzazione umana, nel periodo paleolitico e neolitico matristico, la sacralità era incarnata massimamente in chiave femminea, poi con il riconoscimento della funzione maschile nella procreazione tale sacralità assunse forme miste maschili e femminili, successivamente con i monoteismi patriarcali fu il maschile che divenne preponderante. Ora è tempo di riportare queste energie al loro giusto posto e su un totale piano paritario. Anche se già in una antica civiltà, quella Vedica, questa parità era stata indicata, come nel caso della denominazione (maschile) “Surya” che sta ad indicare l’identità del sole in quanto ente divino, che viene completato dall’aspetto femminile “Savitri” che è la capacità irradiativa dell’energia solare. E noi sappiamo che fra il fuoco e la sua capacità di ardere non vi è alcuna differenza.... Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica
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Commento a "La Filosofia della Libertà" di Rudolf Steiner Volume 4 Pietro Archiati dal Cap. IV, par. 7 al Cap. V, par. 9 Atti del Seminario tenuto a Rocca di Papa (Roma) dal 21 al 24 agosto 2008

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Dolcificanti artificiali: la dolcezza che corrode…

Spiritual News
All’inizio sembravano la soluzione perfetta. Niente calorie. Niente zuccheri. Una bustina, una lattina, e la coscienza era a posto. Ma i dolcificanti artificiali tornano al centro del dibattito con una nuova ombra: potrebbero compromettere la mente. Uno studio pubblicato su Neurology a settembre 2025 lo dice con chiarezza. Dodicimila adulti seguiti per otto anni. Chi consuma quotidianamente dolcificanti mostra un declino cognitivo equivalente a un invecchiamento di 1,6 anni in più rispetto ai non consumatori. L’effetto è più marcato sotto i sessant’anni, quando nessuno si aspetta rallentamenti. La notizia scuote perché tocca una certezza diffusa: che i dolcificanti siano innocui, un piccolo trucco per restare leggeri senza sacrifici. L’industria insiste: si tratta solo di correlazioni, non di prove definitive. Ma resta il dato: un segnale costante, su larga scala, che lega il “light” al declino. Qui non si parla di obesità, né di diabete. Qui si parla di mente. Memoria, concentrazione, vivacità. È il bene più fragile e più irrinunciabile. Non ci accorgiamo di perderlo giorno per giorno. Fino a quando diventa troppo tardi. Ecco il nodo: il cervello non riconosce i dolcificanti come zucchero. Le vie metaboliche restano attive, il corpo si confonde. Alcuni studi collegano queste sostanze a micro-infiammazioni e alterazioni del microbiota intestinale. E l’asse intestino-cervello non è un dettaglio: è un’autostrada. Non si tratta di demonizzare. Ma di scegliere. Una dieta equilibrata, con frutta, fibre, grassi buoni. Dolcificare con moderazione: miele, datteri, sciroppi naturali. Oppure riscoprire il gusto autentico, meno dipendente dal dolce. Perché spesso non è il caffè che chiede zucchero. È la mente che chiede un anestetico. La questione non riguarda solo la chimica. Riguarda il rapporto che abbiamo con il piacere. La società vuole il dolce senza conseguenze. La gratificazione senza il peso. Ma la vita non funziona così. Ogni piacere autentico porta con sé un prezzo: tempo, cura, responsabilità. I dolcificanti illudono che il prezzo non esista. E così sottraggono qualcosa di invisibile: la capacità di abitare pienamente il gusto. Forse, nel lungo periodo, anche la capacità di abitare pienamente i pensieri. Il vero dolcificante della mente non è in una bustina. È nello spazio vuoto tra un pensiero e l’altro. Lì la coscienza si rigenera, senza zuccheri e senza surrogati. Scoprire questo vuoto è il piacere più raro. Ed è l’unico che non lascia mai scorie.
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Agricoltura e biologia ecosistemica…

Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana
Alcuni potentati economici, ben indirizzati e determinati, hanno -dagli ultimi sessanta anni in poi- obbligato il sistema agricolo a dipendere dai fertilizzanti chimici e dai veleni erbicidi ed antiparassitari. Pian piano tutte le falde acquifere saranno inquinate e l’acqua diventerà un bene preziosissimo e l’agricoltura, che sino a pochi anni fa era fonte di nutrimento per l’uomo, diventerà la causa della sua rovina. Inoltre la detenzione di sementi brevettate e la trasformazione dell’ambiente porterà a carestie indicibili ed allo sterminio di intere popolazioni. A chi interessa tutto ciò? Non è solo un meccanismo di sfruttamento economico, dietro c’è una sorta di piano strategico per il dominio del mondo. Ma vediamo come è cominciato questo strazio. Tutto ha inizio con la vittoria del sistema americano che ha esportato in tutto il mondo il criterio alimentare basato sulla separazione del modello agricolo tradizionale. La scissione è basata sull’aumento del consumo di carne. Allontanati gli animali dalla campagna e rinchiusili negli allevamenti intensivi, avendo cioè creato una frattura fra il mondo contadino tradizionale che viveva in simbiosi con la presenza di animali nei campi, ed avendo trasformato sia la produzione agricola che l’allevamento in scomparto produttivo industriale, si è creata la prima separazione in quel delicato organismo vitale che aveva sino alla metà del secolo scorso consentito il mantenimento di un delicato equilibrio: uomo, natura, animali. Scisse le due metà di un’unica cellula, ovvero quella della compresenza e simbiosi fra vita animale e vegetale. Si è potuto procedere al successivo passo alienante: l’incremento nell’allevamento di animali da carne con sistemi industriali e il contemporaneo sviluppo agricolo essenzialmente basato sul sistema delle monoculture. Per nutrire gli animali non più compartecipi del sistema naturale si è passati alla creazione di apposite coltivazioni preposte al loro ingrasso, con alimenti che gli animali non avrebbero mai trovato in natura, essendo precedentemente abituati e predisposti al consumo di erbe sul campo. Non solo gli animali si nutrivano di erbe spontanee ma contribuivano alla concimazione diretta dei fondi ed al riposo di terreni che subivano così un ciclo di diverse utilizzazioni e riposo. Il problema delle cosiddette erbe infestanti non esisteva, tutto rientrava in un normale procedere della vita naturale. Ma allontanati gli animali dai campi e dovendo approfittare al massimo della capacità produttiva degli stessi terreni ecco che giocoforza è stato necessario ricorrere all’utilizzo di concimi artificiali e di diserbanti. Inoltre questo processo si è ingigantito mano a mano che le necessità di carne aumentavano, dovendo inoltre soddisfare le esigenze di una numero crescente di persone che entravano nel meccanismo consumistico. E l’accesso a quantità di cibo mai prima ottenuto con i sistemi tradizionali ha contemporaneamente fatto incrementare la presenza umana sul pianeta. Più gli umani aumentano, più carne si consuma, più servono terreni agricoli, più si tagliano le foreste, più si utilizzano concimi chimici e veleni. La piaga umana sta impestando il pianeta sino alle midolla. E come se non bastasse la produzione del cibo sta passando sempre più in mani private, sta diventando un affare economico controllato accuratamente da multinazionali, le stesse che compartecipano alla finanza mondiale, e queste multinazionali hanno in mano la produzione e possono quindi creare crisi alimentari pilotate per mantenere un controllo reale sulla popolazione del globo. Le carestie sono ormai un’arma in mano ai potentati economici. Tra l’altro l’inquinamento fa si che l’acqua potabile sia diventata una rarità ed una fonte di ulteriore speculazione. Su un pianeta composto da tre quarti di acqua ecco che ora si dice che “l’acqua manca”…. In verità l’acqua non manca ma è inquinata del sistema agricolo chimico, dall’allevamento industriale e dal sistema fognario umano e vediamo finalmente che noi stessi ci stiamo scavando la fossa, che noi stessi stiamo strozzandoci con le nostre mani. E chi ci spinge a farlo? Il sistema consumista e le famose multinazionali che controllano il ciclo alimentare e tutto ciò che si muove sulla faccia della terra. E di chi sono queste multinazionali? Beh questo non posso dirvelo altrimenti mi taccereste di… Rete Bioregionale Italiana – Paolo D’Arpini


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