mar, 23 dicembre 2025

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Pubblicazioni e Saggi
Giulia Jordan
"Il vero viaggio non era verso un luogo lontano, ma verso il cuore stesso dell’Essere. Non serviva cercare altrove, bastava dimorare in quel silenzio che da sempre era lì presente, testimone quieto di ogni cosa." Non sapevo chi fosse davvero, ma continuava a tornare nei miei sogni. Una donna con occhi profondi, silenziosi. Mi guardava senza parlare — ma in quello sguardo c’era una domanda che sembrava rivolta a me. Forse anche tu hai sentito, almeno una volta, quella sensazione sottile di non appartenere del tutto alla tua storia. Come se ci fosse un altro filo, invisibile ma reale, che ti lega a qualcosa di più antico, più vasto. Forse anche tu ti sei chiesto: Chi sono, davvero? Cosa sto cercando? E perché sento dentro di me emozioni che non riesco a spiegare solo con la mia vita attuale? Questo libro nasce da un’esperienza che ha cambiato tutto. Una chiamata interiore che si è fatta strada attraverso immagini, intuizioni e memorie che non sembravano mie — ma che mi parlavano profondamente. Così è iniziato un viaggio attraverso due vite, due epoche, due donne: Shaula, artista contemporanea in cerca di sé, e Yashodara, moglie del principe Siddharta, lasciata nella notte in cui lui scelse di diventare il Buddha. In queste pagine scoprirai che il risveglio non è una fuga dalla vita, ma un tuffo profondo nel cuore dell’esistenza. Imparerai a riconoscere la voce dell’anima, a lasciare andare il passato, a integrare ombra e luce. Non attraverso teorie, ma grazie alla forza della narrazione e alla verità delle emozioni. Questo libro non è un saggio spirituale né una biografia storica. È un romanzo dell’anima, un ponte tra visibile e invisibile, tra esperienza e immaginazione. Non ti darà risposte preconfezionate, ma forse farà nascere in te le domande giuste. Se senti che dentro di te c’è una voce antica che chiede di essere ascoltata, sei nel posto giusto. Attraverso lei è come varcare una soglia interiore, dove una voce antica e luminosa ti accompagna nel viaggio senza mappa verso il Risveglio. ? Dicono di Attraverso lei Questo libro è uno specchio magico, un farmaco sottile. In un primo momento sembra una biografia spirituale, ma presto si rivela un viaggio interiore. Ti sembra di seguire la trama del racconto, che attraversa identità, sogni, ferite e rinascite. Mentre leggevo, più volte ho scoperto che sentivo vibrare la parte posteriore del mio cuore, tra le scapole, inaspettatamente; e so che quella sensazione, e lo scorrere della corrente verso l’alto, è una sensazione che provo a volte in meditazione, o in momenti di apertura affettiva particolare. Sentivo dunque una vibrazione dolce, ma intensa. Se poi interrompevo la lettura, tutto sembrava affievolirsi, senza tuttavia scomparire subito; ed ogni volta che riprendevo, anche leggendo più avanti o più indietro, quella esperienza di apertura e vibrazione si ripresentava. Una cosa magica! Una specie di miracolo sorprendente; normalmente i libri non mi fanno questo effetto! Così poi mi sono incuriosito ad ascoltare meglio questa vibrazione. Il sentimento a cui era più vicino era affetto, amore; e forse ancor di più: gioia amorosa. Così, ogni pagina, ogni ricordo, ogni gesto narrato non erano solo storia, ma medicina: un invito a identificarti, a fonderti nel racconto, a sentire che non c’è separazione tra te che leggi, la scrittrice, la donna antica. Mentre leggi, il libro ti cura, ti guarisce, come una acqua di vita che scorre dentro, senti l’effetto come se andassi in onda, un’onda di gioia amorevole, che passa attraverso il libro e queste immagini, e viene da lontano, e non si può non riconoscerla. Un libro deve essere così, un farmaco. Se no è inutile. ✨ ?️ Claudio Maddaloni Sai quanti libri ho acquistato, iniziato a leggere senza mai andare oltre la 3/4 pagina!?…? Tantissimi … Invece “Attraverso lei” mi ha catturata. È un DONO grandissimo perché “attraverso te” “attraverso questo libro” è impossibile non fare salti quantici straordinari!!!! “I rami non sanno nulla di separazione: anche quando crescono in direzioni diverse, sanno di essere parte dello stesso albero.” Passaggi davvero illuminanti e toccanti: “Una sola costante: la vita che si veste di molte forme” Parole e concetti che arrivano con una potenza immediata e impetuosa ? Dire che mi è piaciuto è limitante… Lo rileggerò frequentemente ? ? Stefania Canovi Questo romanzo è un viaggio di Ri-Connessione: un Ri-Trovare insegnamenti, scoperte, ricerche che trovano un filo che unisce Tutto. Una storia si scrive da sola: lo scrittore semplicemente l’accompagna. Michelangelo fissava il blocco di marmo per ore, poi “estraeva” ciò che già era dentro quel blocco. Così Shaula, mentre dipinge capisce che Tutto ha un’unica fonte, un’unica origine. Yashodara e Shaula, così come gli altri personaggi del romanzo sono specchi dove si riflettono vicendevolmente, e dove ogni lettore può Ri-Trovare parti di Se’. Durante la lettura affiorano domande che trovano risposte. Questo romanzo è la risposta che cercavo ad una domanda: perché dopo tanto “viaggiare” in questi territori seguo ancora gli incontri di Giulia? (nel gruppo Bagliori di Risveglio) Potremmo sentirci “arrivati” ma la Vita, maestra silenziosa, intreccia continuamente nuovi disegni … ed il viaggio continua. E’ dunque un romanzo per viaggiatori coraggiosi. Grazie Giulia per questo e altri doni ♥ ? RitaMaria Tocco
Notizie
Spiritual News
Nel Natale 2025 il gesto del dono sta cambiando significato. Sempre meno persone sembrano interessate all’accumulo di oggetti e sempre più attente all’impatto reale delle proprie scelte. Non si tratta solo di beneficenza, ma di una trasformazione più profonda del modo in cui la generosità viene vissuta, raccontata e praticata. I dati più recenti sul comportamento prosociale indicano che il periodo natalizio rimane il momento dell’anno in cui il desiderio di contribuire al benessere altrui raggiunge il picco massimo. Tuttavia, rispetto al passato, emerge una differenza sostanziale: cresce la richiesta di trasparenza, concretezza e senso. Le persone vogliono sapere dove va il loro contributo, quale cambiamento produce e come si inserisce in una storia più ampia. Questo mutamento è evidente nelle campagne di donazione più efficaci del 2025. Le organizzazioni che mostrano risultati misurabili, raccontano storie verificabili e coinvolgono attivamente i donatori registrano livelli più alti di partecipazione e fidelizzazione. Il dono non è più percepito come un atto episodico, ma come un’estensione dell’identità personale e dei valori individuali. Anche sul piano psicologico il fenomeno è significativo. Numerosi studi sul cosiddetto “prosocial spending” confermano che spendere tempo o risorse per gli altri aumenta il benessere soggettivo, ma solo quando il gesto è volontario, scelto consapevolmente e percepito come efficace. In altre parole, la generosità funziona quando non è automatica né imposta dal contesto sociale, ma nasce da una decisione intenzionale. Nel contesto natalizio questo si traduce in nuove pratiche. Sempre più famiglie scelgono di sostituire parte dei regali tradizionali con donazioni condivise, esperienze solidali o attività di volontariato breve. Alcuni genitori coinvolgono i figli nella scelta delle cause da sostenere, trasformando il dono in un momento educativo. In questo modo, la festa diventa anche un’occasione per trasmettere valori legati alla responsabilità e all’interdipendenza. Il cambiamento riguarda anche il linguaggio. La narrazione della generosità si allontana dalla retorica dell’emergenza per concentrarsi sulla continuità: non “salvare” qualcuno, ma contribuire a un processo. Questo approccio riduce il rischio di un altruismo emotivo e temporaneo, tipico delle festività, e favorisce una partecipazione più stabile nel tempo. Non mancano le criticità. In un contesto economico segnato da incertezza e aumento del costo della vita, molte persone si sentono escluse dal discorso sulla donazione. Per questo motivo, le iniziative più inclusive del Natale 2025 ampliano il concetto stesso di dono: non solo denaro, ma tempo, competenze, ascolto. Anche piccoli gesti strutturati — come aiutare un vicino, partecipare a reti locali di supporto o offrire competenze professionali — vengono riconosciuti come forme autentiche di generosità. Il Natale, in questa prospettiva, recupera una dimensione spirituale spesso oscurata dal consumo. Il dono torna a essere un atto relazionale, capace di creare legami e di restituire senso, sia a chi riceve sia a chi offre. Non è la quantità a fare la differenza, ma la qualità dell’intenzione e la chiarezza dell’impatto.
Pubblicazioni e Saggi
Paolo D'Arpini
Tempo addietro un cercatore mi pose una domanda in merito al risveglio dell'anima dopo quella che i mistici chiamano "l'oscura notte dell'anima". Risposi alla sua domanda con queste parole: “Caro cercatore, le rispondo sulla base della mia esperienza personale. Una volta ottenuto il Risveglio, ed avuta un'esperienza del Sé, quel che accade è che il nostro spirito (o Coscienza) percepisce la verità sul proprio essere. Questo fulgido momento d'illuminazione se avviene in una mente totalmente purificata dalle tendenze innate e dai desideri e paure regressi riconduce l'io al Sé ed al superamento di ogni dualismo: “Io sono quel che sono e che sempre sono stato e sempre sarò”. Questa esperienza se definitiva può essere chiamata “Realizzazione” e possiamo averne un esempio concreto leggendo quanto avvenne a Ramana Maharshi, nel momento in cui egli stabilmente si fuse nel Sé. Se la mente del cercatore -invece- conserva ancora tracce di ignoranza nascosta, vasanas e samskaras inespresse, ecco che con il Risveglio inizia un processo di espulsione di questi fattori oscuranti. Non possiamo sapere come essi siano incistati nella nostra anima e quanto è necessario scavare nell'inconscio per poterli portare in superficie e quindi eliminarli, ma stia tranquillo che la cosa avviene spontaneamente, in seguito al “risveglio in atto”. Questo processo può essere a volte doloroso e può ben essere chiamato “l'oscura notte dell'Anima”. Ma se non si perde la fiducia in se stessi, nel proprio Maestro, e si persevera nella ricerca con costanza, sincerità ed onestà, allora il processo sarà come qualsiasi altra “nuttata, che ha da passà”... e quindi non è poi così grave. L'amore e la devozione all'ideale offrono un grande aiuto.” Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica

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Il mio nome completo in sanscrito è Swami Bodhi Vipal che significa “Momento di consapevolezza”. Mi è stato donato da OSHO, Maestro di…
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Scuola Professionale di Tantra e Discipline Indiane. La International Academy of Tantric Arts è una scuola che da molti anni dedica la…
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Tiziano Bussolotto ideatore della tecnica Athos Operatore Olistico Trainer SIAF ITALIA n. LO791T-OP Professionista disciplinato ai sensi…
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Nirava Dainotto, esploratrice e guida nel mondo dell’energia e della salute naturale. All’anagrafe Tiziana Dainotto. L’altro nome sacro è…
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Silvia Tonelli arriva dalla danza Classica per poi studiare e ballare per oltre 15 anni i balli Folklorici tradizionali Emiliano-Romagnoli,…
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Docente di cristalloterapia eterica presso il Centro Studi Pranici fonde la spiritualità con la tecnologia intelligente per rendere l’uomo…
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Sama Rao è una realtà di promozione e sviluppo culturale e spirituale che ha come obiettivo quello di diffondere, insegnare e preservare la…
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Il ritorno del “Natale Silenzioso”: rituali…

Spiritual News
Nelle settimane che precedono il Natale 2025, una tendenza sta emergendo in modo netto nei rapporti di osservatori pubblici e istituzioni internazionali: un numero crescente di famiglie e individui sceglie di ridurre l’uso degli schermi durante il periodo festivo, con l’obiettivo dichiarato di recuperare una qualità di presenza percepita come compromessa negli ultimi anni. Dati già consolidati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e ricerche dell’American Psychological Association indicano che il sovraccarico digitale è ormai riconosciuto come uno dei fattori principali di stress, ansia e calo dell’attenzione. Questo contesto ha favorito un aumento dell’interesse verso pratiche di “digital detox”, che stanno trovando nel periodo natalizio un terreno particolarmente fertile. A testimoniarlo sono anche i primi bilanci di diversi programmi pubblici europei dedicati al benessere mentale, che segnalano una richiesta crescente di iniziative orientate alla gestione consapevole della tecnologia. Il fenomeno assume forme diverse da paese a paese, ma presenta un tratto comune: la ricerca di maggiore profondità nelle relazioni e nei momenti condivisi. Alcune scuole hanno introdotto giornate pre-natalizie in cui la consegna dei lavori avviene esclusivamente tramite attività offline; gruppi civici e parrocchie organizzano serate “schermi spenti” per promuovere attività intergenerazionali; in numerosi contesti familiari cresce l’abitudine di dedicare alcune ore della vigilia o del giorno di Natale alla lettura, al dialogo o a camminate collettive. Secondo le analisi diffuse dal Pew Research Center, il 2024 ha segnato un aumento significativo delle persone che dichiarano di sentirsi “troppo connesse” e di percepire una perdita di confini tra tempo personale e tempo digitale. Questi dati trovano riscontro nella diffusione di rituali che puntano a ristabilire tali confini, soprattutto in occasione delle festività. L’obiettivo non è demonizzare la tecnologia, ma modularne l’uso per ridurre distrazioni e ristabilire un senso di presenza autentica. Molti dei professionisti del benessere psicologico notano un altro fattore rilevante: la disconnessione temporanea favorisce rituali emotivamente significativi. La tradizione dei “diari di fine anno”, delle lettere personali e dei momenti di riflessione guidata sta tornando a diffondersi, in parte perché la scrittura manuale sembra facilitare processi di integrazione emotiva. Alcuni centri di supporto psicologico, in Europa e Nord America, sottolineano come la combinazione tra festività e riduzione digitale contribuisca a diminuire la sensazione di sovraccarico cognitivo che molti riportano durante il mese di dicembre. Il contesto socioeconomico gioca un ruolo non secondario. Le analisi Eurostat degli ultimi anni evidenziano un incremento costante del tempo trascorso online, spinto sia dal lavoro da remoto sia dal consumo di intrattenimento digitale. Di fronte a questa tendenza, l’idea di un “Natale silenzioso” — non inteso come assenza di attività, ma come riduzione del rumore informativo — appare come una risposta spontanea a un equilibrio percepito come fragile. Non mancano, tuttavia, aspetti critici. Per alcuni lavoratori, soprattutto nei settori essenziali e nei servizi digitali, disconnettersi non è semplice né sempre possibile. Gli esperti ricordano che il rischio è creare un’aspettativa normativa: chi non riesce a staccare potrebbe percepire il proprio comportamento come sbagliato o insufficiente. Le iniziative più efficaci, infatti, non impongono restrizioni assolute, ma invitano a definire spazi circoscritti e realistici di sollievo digitale. Il fenomeno appare comunque destinato a crescere. Diversi enti pubblici stanno includendo nei loro programmi natalizi suggerimenti pratici per una gestione equilibrata della tecnologia. Si va dagli inviti a creare “zone senza schermi” nelle case, fino a proposte di rituali collettivi come brevi meditazioni, letture condivise o semplici momenti strutturati di gratitudine. L’obiettivo rimane lo stesso: restituire profondità a interazioni che rischiano di essere continuamente interrotte. La tendenza non cancella l’uso della tecnologia durante le feste — che rimane un elemento centrale nelle connessioni a distanza, soprattutto tra familiari che vivono in città o paesi diversi — ma propone un uso più intenzionale e meno dispersivo. Il Natale, tradizionalmente associato al raccoglimento, diventa così un’occasione per sperimentare modalità più equilibrate di stare insieme.
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Dieta alimentare e spiritualità...

Paolo D'Arpini
Il saggio Ramana Maharshi a chi gli chiedeva quale fosse il modo più semplice per “raggiungere” la consapevolezza di Sé (nel senso dell’autorealizzazione) consigliava l’autoindagine, attraverso l’interrogarsi “chi sono io”. E se qualcuno insisteva per avere delle norme esteriori di comportamento allora consigliava di assumere solo cibo “satvico” e in quantità moderata. Il cibo “satvico” è in effetti la cosiddetta dieta vegetariana, quella più vicina all’alimentazione naturale dell’uomo. L’uomo è nato frugivoro, la sua conformazione anatomica è simile a quella degli altri frugivori: suini, scimmie antropomorfe, etc. Questi animali, come dovrebbe essere per l’uomo, si nutrono essenzialmente di semi, proteine vegetali, verdure, frutta, tuberi, latte materno, integrando il tutto – di tanto in tanto – con qualche altro prodotto di origine animale, come ad esempio il latte di altri mammiferi, piccole quantità di miele, uova e simili. Eccezionalmente e per scopi integrativi essi fanno anche uso di moderate quantità di pesce o carne. Ovviamente, nella dieta “satvica”, consigliata ai ricercatori spirituali, la carne non è compresa, poiché il cadavere, essendo un composto organico in putrefazione, è considerato un alimento “tamasico” (oscurante) per la mente. Tra l’altro gli animali sono considerati a tutti gli effetti muniti di “anima” e quindi visti come esseri spirituali simili all’uomo. Cibarsene è considerata perciò una forma di “cannibalismo”. La filosofia dei Veda – scrive Steven Rosen nel suo illuminante libro Il vegetarianesimo e le religioni del mondo – riconosce appieno agli animali la capacità di raggiungere stati di spiritualità elevata. Si tratta di una tradizione religiosa che non promuove soltanto il vegetarismo, ma anche l’uguaglianza spirituale di tutti gli esseri viventi. Il vegetarismo in effetti non è altro che la conferma di questa consapevolezza: tutti gli esseri viventi sono spiritualmente uguali. Tra l’altro, nell’induismo vengono indicate anche altre ragioni per cui è necessario astenersi dall’ingerire cadaveri perché nell’atto di cibarsi dell’altrui carne si crea un legame karmico con la violenza e la morte. Malgrado vi siano indicazioni di sacrifici cruenti da compiere una o due volte all’anno persino il Corano esalta la compassione e la misericordia di Allah — chiamato al-Raham, ovvero “l’infinitamente misericordioso” — nei confronti di tutti gli esseri da lui creati, senza eccezioni. Lo stesso profeta Maometto, che presumibilmente era vegetariano e amava gli animali, disse: «Chi è buono verso le creature di Dio è buono verso se stesso». Per quanto riguarda l’Ebraismo, nella Genesi l’alimentazione prescritta all’uomo è chiaramente vegetariana: «Ecco vi do ogni vegetale che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto che produce seme: saranno il vostro cibo» (1, 29). E ancora nella Genesi si legge: «Non dovreste mangiare la carne, con la sua vita, che è il sangue». E infatti, secondo le leggende bibliche, il popolo d’Israele si mantenne vegetariano per dieci generazioni, da Adamo a Noè. Solo dopo che il diluvio universale ebbe distrutto tutta la vegetazione, si narra che Dio diede al “suo” popolo il permesso temporaneo di mangiare carne. Poi, per ristabilire l’alimentazione vegetariana, quando gli israeliti lasciarono l’Egitto, Dio fece cadere la manna, un alimento vegetale adatto a nutrirli durante il loro duro viaggio. Ma, poiché gli israeliti continuavano a chiedere con insistenza la carne, Dio gliela concesse, insieme però a una peste fatale che colpì tutti coloro che ne mangiarono. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, e quindi il Cristianesimo, l’insegnamento di Gesù (nato di origine essena, una setta che praticava il vegetarismo) è stato a tal punto censurato nelle numerose traduzioni e revisioni dei Vangeli che sono quasi sparite le tracce della sua compassione e del suo completo amore per tutte le creature viventi, che si esprimevano anche nel non mangiare carne di alcun tipo, in armonia con la tradizione degli Esseni. In un “Vangelo secondo Giovanni” tramandato dagli Esseni e dalle Chiese cristiane d’Oriente ma rifiutato dalla Chiesa cattolica, si insegna l’assoluta nonviolenza nei confronti degli animali ed è vietato esplicitamente di mangiare carne: «Mangiate tutto ciò che si trova sulla tavola di Dio: i frutti degli alberi, i grani e le erbe dei campi, il latte degli animali ed il miele delle api. Ogni altro alimento è opera di Satana e conduce ai peccati, alle malattie e alla morte». I primi cristiani erano vegetariani. E lo furono anche i veri Padri della Chiesa, come san Giovanni Crisostomo, San Girolamo, Tertulliano, San Benedetto, Clemente, Eusebio, Plinio e molti altri. Ma quando il Cristianesimo volle diventare la religione di Stato dell’Impero Romano, durante il concilio di Nicea vennero radicalmente alterati i documenti originali. I “correttori” nominati dalle autorità ecclesiastiche eliminarono dai vangeli qualsiasi riferimento al non mangiare carne: tradussero con il termine «carne», per ben diciannove volte, il termine greco originale «cibo” e scelsero la versione «dei pani e dei pesci” a quella, contemporanea a Cristo, del miracolo della «moltiplicazione dei pani e della frutta”. Ciononostante anche in seguito alcuni santi cristiani sono stati vegetariani. Basti pensare al più famoso di tutti, san Francesco, il quale, nel suo amore per tutte le creature viventi, si nutriva esclusivamente di pane, formaggio, verdure e acqua di fonte. La compassione che sta alla base di ogni “fede” va ricercata interiormente, e mangiare carne, diceva Lev Tolstoi, «è immorale perché presuppone un’azione contraria al sentimento morale, quella di uccidere. Uccidendo, l’uomo cancella in se stesso le più alte capacità spirituali, l’amore e la compassione per le altre creature». Quindi, a che serve giustificare o preferire una religione all’altra? Sono le persone che fanno la differenza! Sono tutti quegli uomini e quelle donne “compassionevoli” che non si limitano a riti esteriori ma che nutrono compassione per se stessi e per tutte le altre creature. Insomma, ricapitolando, l’Induismo, l’Ebraismo, l’Islamismo e il Cristianesimo contengono di fondo lo stesso messaggio di compassione e nonviolenza, ricordo anche le parole del Buddha nel Dhammapada: «In futuro, alcuni sciocchi sosterranno che io ho dato il permesso di mangiare carne,e che io stesso ne ho mangiata, ma io non ho permesso a nessuno di mangiare carne, non lo permetterò ora, non lo permetterò in alcuna forma, in alcun modo e in alcun luogo». Paolo D’Arpini - Comitato per la spiritualità laica


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