sab, 27 dicembre 2025

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Spiritual News
Dicembre non è solo il mese delle feste. È il periodo dell’anno in cui la mente, più che in altri momenti, torna a interrogarsi su ciò che chiamiamo “casa”: non solo un luogo fisico, ma una sensazione di appartenenza, sicurezza e riconoscimento. Le più recenti analisi in ambito psicologico e neuroscientifico confermano che il Natale agisce come un potente attivatore di memoria emotiva, capace di riportare alla superficie vissuti profondi legati all’infanzia, alle relazioni primarie e al senso di identità personale. Secondo studi recenti citati da centri di ricerca clinica europei e nordamericani, durante il periodo natalizio si registra un aumento significativo dell’attività nelle aree cerebrali legate alla memoria autobiografica e all’elaborazione emotiva, in particolare nell’ippocampo e nell’amigdala. Non si tratta di un fenomeno casuale: rituali, luci, odori, musiche e simboli ripetuti nel tempo funzionano come “chiavi neurologiche” che aprono archivi interiori spesso trascurati nel resto dell’anno. Questo meccanismo spiega perché il Natale venga vissuto in modo così polarizzato. Per alcuni è un tempo di calore e connessione, per altri diventa un periodo di inquietudine, malinconia o senso di vuoto. La differenza non risiede negli eventi esterni, ma nella qualità dei ricordi e delle esperienze affettive che vengono riattivate. La mente, in questo periodo, non cerca intrattenimento: cerca coerenza. I neuroscienziati parlano di regressione emotiva funzionale: un ritorno temporaneo a stati interiori più antichi, non come segno di debolezza, ma come tentativo naturale del sistema nervoso di riorganizzare il senso di sé. È un processo che può risultare destabilizzante se non viene compreso, ma che rappresenta anche un’opportunità rara di crescita personale. Quando la mente rievoca ciò che è stato, non lo fa per nostalgia fine a sé stessa, ma per verificare se ciò che siamo oggi è allineato con ciò di cui avevamo bisogno allora. In questo senso, il Natale diventa uno specchio. Non riflette ciò che mostriamo all’esterno, ma ciò che resta irrisolto all’interno. Le dinamiche familiari, le aspettative, i ruoli mai davvero superati riemergono non per essere giudicati, ma per essere riconosciuti. La difficoltà nasce quando cerchiamo di anestetizzare questo processo con un eccesso di attività, consumo o socialità forzata. Ma i dati clinici mostrano che evitare il confronto con queste riattivazioni interiori aumenta, anziché ridurre, il disagio emotivo. Gli psicologi sottolineano che una delle risposte più sane a questo richiamo interiore è la capacità di stare nell’esperienza senza interpretarla immediatamente come un problema. Sentirsi fragili, nostalgici o inquieti durante le feste non è un’anomalia: è un segnale di profondità. È il linguaggio con cui la psiche comunica che qualcosa chiede ascolto. Sempre più professionisti della salute mentale suggeriscono di considerare il periodo natalizio come una soglia simbolica, più che come una celebrazione obbligatoria. Una soglia tra ciò che è stato e ciò che sta diventando. In questa prospettiva, piccoli gesti di consapevolezza – come ridurre gli stimoli superflui, concedersi momenti di silenzio, osservare le proprie reazioni emotive senza giudizio – diventano strumenti concreti di crescita interiore. Il punto chiave non è “sentirsi meglio”, ma sentirsi veri. Il Natale amplifica ciò che già esiste: se c’è disallineamento tra vita esterna e mondo interiore, lo rende evidente. Se invece c’è autenticità, la rafforza. Per questo molte persone riferiscono che le feste non cambiano ciò che sono, ma lo rendono impossibile da ignorare. In un’epoca che spinge costantemente verso la distrazione e la performance emotiva, il valore più radicale del Natale potrebbe essere proprio questo: costringerci, con gentilezza o con disagio, a tornare a casa dentro di noi. Non per idealizzare il passato, ma per integrare ciò che siamo stati in ciò che scegliamo di diventare.
Pubblicazioni e Saggi
Giulia Jordan
Un estratto del capitolo 20 del libro: Attraverso lei Storia di Yashodara la moglie di Siddharta … Poi ho cominciato a cercare chi è che soffre. E quando l’ho fatto, ho scoperto qualcosa di sorprendente: la sofferenza appartiene all’Io, quella parte di noi che crede di essere il soggetto di tutte le esperienze, compresa la sofferenza. Così ho cercato questo Io. E cosa ho trovato? L’Io è solo un pensiero, magari più durevole degli altri, ma sempre e solo un pensiero associato a una sensazione di tensione nel corpo. I pensieri, ho compreso, arrivano già formulati - siamo pensati, così come siamo respirati - come le emozioni e le sensazioni appaiono, ma il pensiero Io se ne appropria come fosse lui il creatore e proprietario di ciò che appare nella percezione. L’Io, l’ego, crede di essere il soggetto, mentre di fatto, è un oggetto, uno strumento. È un esecutore, insieme con il corpo. Perciò, l’Io che credevo di essere, non esiste come entità. Esiste il pensiero della sofferenza, esistono le sensazioni connesse. C’è la sofferenza, sì, non si può negare — ma non qualcuno che soffre. Poi ho osservato: i pensieri, le sensazioni, le immagini, i suoni… Appaiono, restano un po’ e poi scompaiono. Non sono permanenti, anche se si ripresentano spesso. E allora: che cosa c’è di permanente? Qualcosa che permette a tutto questo di apparire. Qualcosa che osserva. Che testimonia. Che conosce. E che non è mai influenzato dai pensieri di sofferenza o da altri. È quel centro, quella Presenza è consapevole. Non sceglie nulla. Non rifiuta nulla. Non cambia nulla. Abbraccia tutto. La sofferenza, come ogni esperienza, è come una nuvola. Appare nel cielo, resta un poco, poi si dissolve. Ma il cielo è sempre lì. È grazie al cielo che possiamo vedere le nuvole. E il sole. E la luna E le stelle. Questo cielo è per noi la sensazione di esistere. È la Consapevolezza stessa. È la Vita che siamo. E allora, se noi siamo questa Vita sempre presente… che cosa c’è da raggiungere? Che cosa c’è da ritrovare? L’abbiamo mai veramente persa? Di quanto tempo abbiamo bisogno per riottenerla? Abbiamo bisogno di fare sforzi? Di pratiche? Abbiamo bisogno di tempo o di spazio, di eventi particolari… per essere Ciò che siamo già?»
Notizie
Spiritual News
Nel Natale 2025 il gesto del dono sta cambiando significato. Sempre meno persone sembrano interessate all’accumulo di oggetti e sempre più attente all’impatto reale delle proprie scelte. Non si tratta solo di beneficenza, ma di una trasformazione più profonda del modo in cui la generosità viene vissuta, raccontata e praticata. I dati più recenti sul comportamento prosociale indicano che il periodo natalizio rimane il momento dell’anno in cui il desiderio di contribuire al benessere altrui raggiunge il picco massimo. Tuttavia, rispetto al passato, emerge una differenza sostanziale: cresce la richiesta di trasparenza, concretezza e senso. Le persone vogliono sapere dove va il loro contributo, quale cambiamento produce e come si inserisce in una storia più ampia. Questo mutamento è evidente nelle campagne di donazione più efficaci del 2025. Le organizzazioni che mostrano risultati misurabili, raccontano storie verificabili e coinvolgono attivamente i donatori registrano livelli più alti di partecipazione e fidelizzazione. Il dono non è più percepito come un atto episodico, ma come un’estensione dell’identità personale e dei valori individuali. Anche sul piano psicologico il fenomeno è significativo. Numerosi studi sul cosiddetto “prosocial spending” confermano che spendere tempo o risorse per gli altri aumenta il benessere soggettivo, ma solo quando il gesto è volontario, scelto consapevolmente e percepito come efficace. In altre parole, la generosità funziona quando non è automatica né imposta dal contesto sociale, ma nasce da una decisione intenzionale. Nel contesto natalizio questo si traduce in nuove pratiche. Sempre più famiglie scelgono di sostituire parte dei regali tradizionali con donazioni condivise, esperienze solidali o attività di volontariato breve. Alcuni genitori coinvolgono i figli nella scelta delle cause da sostenere, trasformando il dono in un momento educativo. In questo modo, la festa diventa anche un’occasione per trasmettere valori legati alla responsabilità e all’interdipendenza. Il cambiamento riguarda anche il linguaggio. La narrazione della generosità si allontana dalla retorica dell’emergenza per concentrarsi sulla continuità: non “salvare” qualcuno, ma contribuire a un processo. Questo approccio riduce il rischio di un altruismo emotivo e temporaneo, tipico delle festività, e favorisce una partecipazione più stabile nel tempo. Non mancano le criticità. In un contesto economico segnato da incertezza e aumento del costo della vita, molte persone si sentono escluse dal discorso sulla donazione. Per questo motivo, le iniziative più inclusive del Natale 2025 ampliano il concetto stesso di dono: non solo denaro, ma tempo, competenze, ascolto. Anche piccoli gesti strutturati — come aiutare un vicino, partecipare a reti locali di supporto o offrire competenze professionali — vengono riconosciuti come forme autentiche di generosità. Il Natale, in questa prospettiva, recupera una dimensione spirituale spesso oscurata dal consumo. Il dono torna a essere un atto relazionale, capace di creare legami e di restituire senso, sia a chi riceve sia a chi offre. Non è la quantità a fare la differenza, ma la qualità dell’intenzione e la chiarezza dell’impatto.

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Il mio nome completo in sanscrito è Swami Bodhi Vipal che significa “Momento di consapevolezza”. Mi è stato donato da OSHO, Maestro di…
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Tiziano Bussolotto ideatore della tecnica Athos Operatore Olistico Trainer SIAF ITALIA n. LO791T-OP Professionista disciplinato ai sensi…
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Scuola Professionale di Tantra e Discipline Indiane. La International Academy of Tantric Arts è una scuola che da molti anni dedica la…
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Nirava Dainotto, esploratrice e guida nel mondo dell’energia e della salute naturale. All’anagrafe Tiziana Dainotto. L’altro nome sacro è…
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Scuola di Coaching a Torino e Milano. Formazione per Coach Professionisti totalmente in presenza, con attenzione al progetto professionale…
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Docente di cristalloterapia eterica presso il Centro Studi Pranici fonde la spiritualità con la tecnologia intelligente per rendere l’uomo…
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Silvia Tonelli arriva dalla danza Classica per poi studiare e ballare per oltre 15 anni i balli Folklorici tradizionali Emiliano-Romagnoli,…
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Giulia ha vissuto fin da giovanissima esperienze di profonda connessione con l’amore universale e l’unità della vita, che hanno segnato il…
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L'oscura notte dell'anima" ed il risveglio…

Paolo D'Arpini
Tempo addietro un cercatore mi pose una domanda in merito al risveglio dell'anima dopo quella che i mistici chiamano "l'oscura notte dell'anima". Risposi alla sua domanda con queste parole: “Caro cercatore, le rispondo sulla base della mia esperienza personale. Una volta ottenuto il Risveglio, ed avuta un'esperienza del Sé, quel che accade è che il nostro spirito (o Coscienza) percepisce la verità sul proprio essere. Questo fulgido momento d'illuminazione se avviene in una mente totalmente purificata dalle tendenze innate e dai desideri e paure regressi riconduce l'io al Sé ed al superamento di ogni dualismo: “Io sono quel che sono e che sempre sono stato e sempre sarò”. Questa esperienza se definitiva può essere chiamata “Realizzazione” e possiamo averne un esempio concreto leggendo quanto avvenne a Ramana Maharshi, nel momento in cui egli stabilmente si fuse nel Sé. Se la mente del cercatore -invece- conserva ancora tracce di ignoranza nascosta, vasanas e samskaras inespresse, ecco che con il Risveglio inizia un processo di espulsione di questi fattori oscuranti. Non possiamo sapere come essi siano incistati nella nostra anima e quanto è necessario scavare nell'inconscio per poterli portare in superficie e quindi eliminarli, ma stia tranquillo che la cosa avviene spontaneamente, in seguito al “risveglio in atto”. Questo processo può essere a volte doloroso e può ben essere chiamato “l'oscura notte dell'Anima”. Ma se non si perde la fiducia in se stessi, nel proprio Maestro, e si persevera nella ricerca con costanza, sincerità ed onestà, allora il processo sarà come qualsiasi altra “nuttata, che ha da passà”... e quindi non è poi così grave. L'amore e la devozione all'ideale offrono un grande aiuto.” Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica
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Il ritorno del “Natale Silenzioso”: rituali…

Spiritual News
Nelle settimane che precedono il Natale 2025, una tendenza sta emergendo in modo netto nei rapporti di osservatori pubblici e istituzioni internazionali: un numero crescente di famiglie e individui sceglie di ridurre l’uso degli schermi durante il periodo festivo, con l’obiettivo dichiarato di recuperare una qualità di presenza percepita come compromessa negli ultimi anni. Dati già consolidati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e ricerche dell’American Psychological Association indicano che il sovraccarico digitale è ormai riconosciuto come uno dei fattori principali di stress, ansia e calo dell’attenzione. Questo contesto ha favorito un aumento dell’interesse verso pratiche di “digital detox”, che stanno trovando nel periodo natalizio un terreno particolarmente fertile. A testimoniarlo sono anche i primi bilanci di diversi programmi pubblici europei dedicati al benessere mentale, che segnalano una richiesta crescente di iniziative orientate alla gestione consapevole della tecnologia. Il fenomeno assume forme diverse da paese a paese, ma presenta un tratto comune: la ricerca di maggiore profondità nelle relazioni e nei momenti condivisi. Alcune scuole hanno introdotto giornate pre-natalizie in cui la consegna dei lavori avviene esclusivamente tramite attività offline; gruppi civici e parrocchie organizzano serate “schermi spenti” per promuovere attività intergenerazionali; in numerosi contesti familiari cresce l’abitudine di dedicare alcune ore della vigilia o del giorno di Natale alla lettura, al dialogo o a camminate collettive. Secondo le analisi diffuse dal Pew Research Center, il 2024 ha segnato un aumento significativo delle persone che dichiarano di sentirsi “troppo connesse” e di percepire una perdita di confini tra tempo personale e tempo digitale. Questi dati trovano riscontro nella diffusione di rituali che puntano a ristabilire tali confini, soprattutto in occasione delle festività. L’obiettivo non è demonizzare la tecnologia, ma modularne l’uso per ridurre distrazioni e ristabilire un senso di presenza autentica. Molti dei professionisti del benessere psicologico notano un altro fattore rilevante: la disconnessione temporanea favorisce rituali emotivamente significativi. La tradizione dei “diari di fine anno”, delle lettere personali e dei momenti di riflessione guidata sta tornando a diffondersi, in parte perché la scrittura manuale sembra facilitare processi di integrazione emotiva. Alcuni centri di supporto psicologico, in Europa e Nord America, sottolineano come la combinazione tra festività e riduzione digitale contribuisca a diminuire la sensazione di sovraccarico cognitivo che molti riportano durante il mese di dicembre. Il contesto socioeconomico gioca un ruolo non secondario. Le analisi Eurostat degli ultimi anni evidenziano un incremento costante del tempo trascorso online, spinto sia dal lavoro da remoto sia dal consumo di intrattenimento digitale. Di fronte a questa tendenza, l’idea di un “Natale silenzioso” — non inteso come assenza di attività, ma come riduzione del rumore informativo — appare come una risposta spontanea a un equilibrio percepito come fragile. Non mancano, tuttavia, aspetti critici. Per alcuni lavoratori, soprattutto nei settori essenziali e nei servizi digitali, disconnettersi non è semplice né sempre possibile. Gli esperti ricordano che il rischio è creare un’aspettativa normativa: chi non riesce a staccare potrebbe percepire il proprio comportamento come sbagliato o insufficiente. Le iniziative più efficaci, infatti, non impongono restrizioni assolute, ma invitano a definire spazi circoscritti e realistici di sollievo digitale. Il fenomeno appare comunque destinato a crescere. Diversi enti pubblici stanno includendo nei loro programmi natalizi suggerimenti pratici per una gestione equilibrata della tecnologia. Si va dagli inviti a creare “zone senza schermi” nelle case, fino a proposte di rituali collettivi come brevi meditazioni, letture condivise o semplici momenti strutturati di gratitudine. L’obiettivo rimane lo stesso: restituire profondità a interazioni che rischiano di essere continuamente interrotte. La tendenza non cancella l’uso della tecnologia durante le feste — che rimane un elemento centrale nelle connessioni a distanza, soprattutto tra familiari che vivono in città o paesi diversi — ma propone un uso più intenzionale e meno dispersivo. Il Natale, tradizionalmente associato al raccoglimento, diventa così un’occasione per sperimentare modalità più equilibrate di stare insieme.


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