sab, 18 ottobre 2025

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C’è un momento, nel cammino di chi si avvicina alla crescita interiore, in cui il silenzio smette di essere un’assenza e diventa una presenza. Non è semplice quiete, ma un campo vivo e vibrante. Nuove ricerche scientifiche e testimonianze di praticanti di meditazione in tutto il mondo convergono su un’idea sorprendente: la natura, quando ascoltata nel silenzio, modula in modo diretto il nostro sistema nervoso, creando effetti profondi e misurabili. Un gruppo di neuroscienziati ha recentemente condotto uno studio in cui volontari trascorrevano 30 minuti al giorno in ambienti naturali, lontani da rumori artificiali. Non erano tenuti a meditare o praticare tecniche specifiche: l’unica indicazione era rimanere in ascolto, senza distrazioni. Dopo quattro settimane, i parametri fisiologici – frequenza cardiaca, variabilità della frequenza cardiaca, cortisolo e qualità del sonno – mostravano miglioramenti significativi. Non era un protocollo di meditazione guidata, ma semplicemente immersione silenziosa nella natura. La spiegazione, secondo gli studiosi, risiede nella modulazione del nervo vago e nell’attivazione di reti cerebrali connesse alla percezione interna, spesso silenziate dal rumore di fondo urbano. È come se l’organismo, immerso in un contesto naturale, ritrovasse un ritmo dimenticato ma ancora inciso profondamente nella nostra biologia. Le tradizioni spirituali parlano da sempre di foreste, deserti, oceani come luoghi di rivelazione. I mistici, gli eremiti, i poeti hanno descritto per secoli ciò che oggi la scienza inizia a misurare: la natura non è uno sfondo neutro, ma un interlocutore sottile che comunica attraverso ciò che non dice. In questo senso, il silenzio naturale è un linguaggio, non un vuoto. Molti praticanti riferiscono che, dopo i primi minuti di inquietudine o distrazione, accade qualcosa di impercettibile: l’ambiente smette di essere percepito come esterno. Gli uccelli, il vento tra le foglie, la luce filtrata diventano parte di un’unica esperienza che non ha più confini tra “dentro” e “fuori”. È in questo spazio che molti sperimentano insight improvvisi, come se la mente smettesse di cercare risposte e iniziasse semplicemente ad ascoltarle. Una delle scoperte più interessanti di questa nuova ondata di ricerche è che non servono giorni di ritiro per ottenere effetti tangibili. Bastano pochi minuti di ascolto consapevole ogni giorno. Anche chi vive in città può trovare angoli di natura — un parco, un albero isolato, un giardino pubblico — e lasciarsi attraversare dal silenzio vivente. È una pratica accessibile, non dogmatica, che richiede più disponibilità che tecnica. La sfida più grande, in realtà, è disimparare a riempire ogni spazio con stimoli. Siamo diventati esperti nel consumare contenuti e pessimi nel lasciare che la realtà ci parli. La natura, invece, non urla: sussurra. Ed è proprio nella delicatezza di quel sussurro che molte persone stanno ritrovando senso, calma e chiarezza. Conclusione inaspettata: il vero maestro spirituale, per molti, non si trova in un ashram o in un libro sacro, ma tra le fronde di un bosco. Non ha voce, ma parla con forza a chi ha il coraggio di tacere.
Pubblicazioni e Saggi
Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana
Parecchie conoscenze per mantenere l'organismo in buona salute le ho ritrovate nelle comunità rurali bioregionali, ove le cure con le erbe ed i sistemi "empirici" non ufficializzati sono ancora in auge in molti paesini. Ricordo ad esempio il capraio Irmo di Calcata che oltre a produrre un buon cacio aveva mille rimedi per varie disfunzioni metaboliche ed altri acciacchi, avendo appreso dalle capre i segreti della "medicina animale". Un altro esempio è fornito dalle "lezioni" impartire dalla semplicista Sonia Baldoni, detta la "sibilla delle erbe", la quale durante le passeggiate da noi organizzate a Treia, è in grado di indicare decine e decine di piante curative, con annesse indicazioni astrologiche. Anche gli animali spontaneamente si curano con sistemi naturali, chi è che non ha visto i gatti curare se stessi procurandosi il vomito con particolari erbe? L’animale selvatico è un esempio lampante di come si possa stare in buona salute senza mai ricorrere a cure mediche, infatti l’animale spontaneamente "previene" le malattie con una dieta equilibrata e consona alla sua conformazione, e cura gli eventuali avvelenamenti o disfunzioni con quelle piante che istintivamente riconosce idonee. Nella medicina tradizionale indiana o cinese il sistema di base è praticamente lo stesso di quello animale. Innanzi tutto vale la prevenzione poi subentra il riequilibrio attraverso semplici sistemi naturali. Figuratevi che anticamente non esistevano quasi "medicine" c’erano solo "diete" disintossicanti e riequilibriatrici delle funzioni vitali. Ciò vale per l’Ayurveda, la scuola più antica conosciuta al mondo, ed anche per il Sistema elementale cinese (basato sui cinque elementi). Ad esempio sia in India che in Cina il medico era pagato per mantenere in buona salute l’assistito, appena esso si ammalava veniva interrotto il pagamento, se non comminata una multa. Comunque prima di ogni consulto il medico soleva inquadrare gli aspetti zodiacali dell’assistito, per conoscerne le tendenze innate e quindi le propensioni a certi tipi di malattia o di scompenso organico. Innanzitutto egli curava con indicazioni di riequilibrio, ad esempio riportando l’attenzione su alcuni elementi trascurati o carenti, in casi gravi si consigliava l’assunzione di sostanze elementali basilari, in casi ancora più gravi si interveniva con l’imposizione delle mani, massaggi, pressione ai piedi ed altre parti del corpo, agopuntura, etc. In effetti quello che noi chiamiamo "malattia" non è solo una mancanza di salute bensì un’interruzione della condizione di equilibrio interno/esterno. Una mancanza di armonia fra le pulsioni interne con le necessarie risposte agli impulsi ambientali esterni. Noi siamo parte indivisibile del grande organismo vivente, l’insieme vitale che contraddistingue la vita in ogni sua forma, perciò allorché non siamo in grado di armonizzare il movimento interno/esterno automaticamente subentra una condizione di "malattia". Definirla a questo punto psicosomatica od organica è del tutto irrilevante. La malattia è invero uno stato di "aggiustamento" che trova espressione attraverso la somatizzazione nel corpo. Quando la malattia appare significa che uno o più degli aspetti energetici elementali sono squilibrati. Con il sistema medico attuale, basato sull’assunzione di medicinali chimici, non si potrà mai raggiungere un saldo equilibrio. In quanto la "forzatura" medicinale aggiusta da una parte e rompe dall’altra, ed inoltre crea dipendenze e rende impossibile le forme spontanee di auto-guarigione. "Vera medicina è tutto ciò che contribuisce a ristabilire armonia senza altre alterazioni" afferma l’erborista Carlo Signorini. Certo, anche il semplicista od il medico ayurvedico od il guaritore sciamanico non può ignorare la sintomatologia del male, egli però agisce diversamente dal medico allopatico, per lui la sintomatologia è una avvisaglia, un segnale di qualcosa che sta più in profondità. Un bravo guaritore, esamina ad esempio l’iride, definita lo specchio dell’anima, tasta il polso, scuote le membra, legge le linee della mano, etc. per cui i sintomi manifestati non possono trarlo in inganno, egli sa che i segnali hanno sempre una più profonda radice che li origina. In verità è la stessa malattia che racchiude la sua medicina, questo per la legge ben conosciuta degli "opposti". Così nel bioregionalismo la salute è mantenuta con i sistemi curativi naturali, partendo dalla conoscenza e dal messaggio delle piante bioregionali e dalle manifestazioni psichiche connesse alla malattia. Paolo D'Arpini - Rete Bioregionale Italiana
Pubblicazioni e Saggi
Spiritual News
Non è più soltanto un’esperienza soggettiva. La meditazione mindfulness sta emergendo come una pratica in grado di modificare in modo concreto e misurabile la struttura e la dinamica delle reti neurali del cervello umano. Nuove ricerche condotte tra il 2024 e il 2025 utilizzando tecniche avanzate di neuroimaging e network neuroscience mostrano che chi pratica regolarmente meditazione trascorre più tempo in stati neurali associati alla percezione diretta, all’attenzione incarnata e a una maggiore stabilità emotiva. Al contrario, diminuiscono gli stati legati al rimuginio, al pensiero ripetitivo e all’ipercontrollo cognitivo. In termini semplici: la mente si ancora di più al presente, riducendo la tendenza a perdersi nella narrazione mentale. Questa trasformazione non è teorica, è documentata con dati oggettivi. Nei praticanti esperti, i ricercatori osservano una diversa distribuzione della probabilità degli “stati cerebrali”: più permanenza nelle reti sensoriali e attentionali, meno nelle reti di default mode associate all’auto-riferimento e alla preoccupazione cronica. È come se la meditazione modificasse la tavolozza di colori con cui il cervello dipinge la nostra esperienza quotidiana. Ma la conferma più interessante arriva dal mondo clinico. In uno studio randomizzato controllato condotto su pazienti affetti da dipendenza da videogiochi, un protocollo di mindfulness ha prodotto un aumento della connettività funzionale tra le aree del cervello deputate all’autocontrollo e le vie della ricompensa. Il risultato è stato un calo significativo del craving e dei comportamenti compulsivi. In altre parole, la pratica non ha solo calmato i sintomi, ha riorganizzato i circuiti che li generavano. Altri studi collegano queste trasformazioni a modifiche nella corteccia cingolata anteriore, nell’insula e nel talamo — nodi fondamentali per la regolazione emotiva e l’integrazione tra corpo e mente. Non si tratta semplicemente di “più attività” o “meno attività”, ma di una vera e propria ricalibrazione dei tempi e delle connessioni tra diverse aree cerebrali. È una trasformazione sottile, progressiva e cumulativa. Per la pratica quotidiana, questi risultati suggeriscono tre strategie chiare e replicabili. La prima: l’ancoraggio sensoriale — respirazione, percezione del corpo, ascolto fisico — è uno dei modi più efficaci per modificare la probabilità di certi stati neurali. La seconda: la regolarità breve ma costante, anche 10–20 minuti al giorno, è più potente di sessioni occasionali prolungate. La terza: ogni tecnica produce effetti diversi. Le pratiche focalizzate sul respiro non hanno lo stesso impatto di quelle basate sulla compassione o sulla concentrazione prolungata. Scegliere la tecnica giusta in base all’obiettivo (riduzione dell’ansia, miglioramento del sonno, controllo degli impulsi, resilienza emotiva) è cruciale. C’è un aspetto poco discusso ma fondamentale: queste trasformazioni non riguardano solo il singolo. Se la meditazione cambia la probabilità con cui emergono certi stati mentali, allora influenza anche la qualità della nostra presenza nel mondo. Una mente meno dominata dal rimuginio e più radicata nel presente è meno reattiva, più disponibile all’ascolto e più capace di agire con lucidità. Questo ha conseguenze interpersonali, sociali e perfino politiche. Conclusione inaspettata: la meditazione non è soltanto uno strumento per calmare i pensieri o ritrovare serenità personale. È una pratica che ci rende artigiani consapevoli del nostro paesaggio mentale, capaci di rimodellare le nostre abitudini più sottili — dalle relazioni alla gestione del tempo digitale. E, forse, è proprio in questa trasformazione silenziosa e quotidiana che risiede il suo potenziale rivoluzionario.

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Docente di cristalloterapia eterica presso il Centro Studi Pranici fonde la spiritualità con la tecnologia intelligente per rendere l’uomo…
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Uomo. Nemico della vita...?

Paolo D'Arpini
“Il corpo massa dell’umanità è responsabile, come quell’1% che controlla la politica, l’economia e la finanza, almeno finché resta indifferente alla situazione di cui si rende complice, in seguito alla sua ignavia…” (Saul Arpino) Gli interventi dell’uomo nel tentativo di “aggiustare” la vita sul pianeta sono diventati talmente pesanti da mettere a rischio la stessa esistenza umana. Infatti il controllo sulle altre specie e sulla natura coinvolge anche l’uomo, che non è separato dal mondo animale e dalla natura. Le regole della vita sono molto semplici, ogni specie sia vegetale che animale ha una interrelazione mutualistica con il suo habitat e con tutte le specie che lo condividono. Le piante hanno bisogno degli animali per la loro riproduzione e propagazione, gli erbivori sono controllati dai carnivori e così si mantiene un equilibrio fra ambiente e suoi abitanti. Ma dove l’uomo è intervento immediatamente questo equilibrio è andato perso. Lo abbiamo visto con la desertificazione del Nord Africa e del Medio Oriente causata da un esagerato incremento dell’allevamento domestico e di transumanza. Questo più l’abitudine venatoria nei confronti di specie ritenute nocive o -al contrario- utili all’economia umana hanno trasformato talmente l’habitat da renderlo irriconoscibile… Tutto ciò in passato avveniva in modo quasi impercettibile, poiché gli avvenimenti sopra descritti si protraevano per lunghi periodi di tempo, secoli, se non millenni, ed era alquanto difficile per l’uomo riconoscerne gli effetti (legati al suo comportamento). Ben diversa è la situazione attuale. Oggi l’intervento umano sull’ambiente ha una conseguenza pressoché immediata e non si può far a meno di considerare le cause -come gli effetti strettamente interconnessi- delle mutazioni in corso. Dove l’uomo interviene la natura e la vita recedono. Persino ove l’uomo cerca di rimediare ai mali del suo operato anche lì combina guai peggiori. Lo abbiamo visto ad esempio con la politica dei ripopolamenti artificiali di specie faunistiche scomparse in una data bioregione e recuperate in altri luoghi del pianeta per essere reimmesse ove estinte. Questa politica di “recupero” è invero deleteria. I danni causati all’habitat dall’introduzione di specie non autoctone sono enormi. Tant’è che di tanto in tanto, con la scusa del sovrappopolamento, ci si inventa partite di caccia per il contenimento di dette specie. A dire il vero la mia impressione è che questa pseudo politica ambientale è solo funzionale ad interessi altri, che non sono quelli della natura. La natura, se lasciata a se stessa, trova sempre il modo di armonizzarsi, creando una altalena di presenze fra fonti alimentari, specie predate e specie predatorie ma dove interviene l’uomo appare il caos. Ma oggi sembra impossibile che la natura sia lasciata a se stessa, dovrebbe scomparire l’uomo. La specie umana è aumentata numericamente a dismisura e non ha predatori, né grosse epidemie che secoli fa decimavano la popolazione, e cibare tutte queste persone, carnivori o vegetariani che siano, porta comunque ad un’alterazione dell’habitat naturale. Inoltre gli animali sono sempre più visti come oggetti di abbellimento -se inseriti nei parchi- o d’uso alimentare o industriale -se allevati intensivamente. Potete allora vedere che questo gioco delle parti danneggia tutti i cittadini e la natura stessa che è continuamente manipolata pro e contro questo e quello. Insomma un pretesto affaristico in una società che non considera l’animale diversamente da un plusvalore qualsiasi. Il rapporto fra uomo natura e animali è andato nel corso di questo ultimo secolo deteriorando sino al punto che gli alberi e gli animali, un tempo simboli di vita, totem, archetipi e divinità, sono relegati nei parchi, nelle riserve o negli zoo o utilizzati come cavie o produttori di carne da macello, come fossero “oggetti” e non esseri viventi dotati di intelligenza, sensibilità e coscienza di sé. Anche se etologi famosi, come ad esempio K. Lorenz e tanti altri, hanno raccontato le similitudini comportamentali e le affinità elettive che uniscono l’uomo agli animali, il metodo utilitaristico, che per altro si applica anche nella società umana verso i più deboli ed i reietti, ha preso il sopravvento. Pare, ma non è detto, che al momento opportuno si risvegli nella coscienza umana la consapevolezza della comune appartenenza alla vita. Paolo D’Arpini – Rete Bioregionale Italiana
Pubblicazioni e Saggi

Cibo ed epigenetica: come i polifenoli parlano al…

Spiritual News
Mangiare non è solo nutrirsi: è dialogare con il nostro epigenoma. Studi recenti dimostrano che diete ricche di polifenoli – composti presenti in tè verde, frutti di bosco, noci, olive, erbe aromatiche e verdure – rallentano l’avanzata dell’«età epigenetica», misurata con orologi molecolari di metilazione del DNA. In un trial di 18 mesi, una versione “green” della dieta mediterranea ha ridotto l’accumulo di segni epigenetici associati all’invecchiamento, con benefici anche su metabolismo e marcatori infiammatori. Il meccanismo passa attraverso il microbioma: i polifenoli vengono trasformati da batteri intestinali in metaboliti che agiscono sul DNA, modulano enzimi epigenetici e riducono l’infiammazione cronica. Questo significa che la stessa dieta può avere effetti diversi a seconda della flora intestinale di ciascuno. Non è il cibo da solo a fare la differenza, ma la combinazione con il nostro ecosistema interno. Per la pratica quotidiana non servono diete estreme: incrementare ogni giorno porzioni di frutta ricca di polifenoli, verdure a foglia, spezie, tè verde e noci produce effetti dose-dipendenti. L’anti-aging non è una pillola miracolosa, ma un accumulo quotidiano di piccole scelte coerenti. Conclusione inaspettata: la prossima rivoluzione anti-età potrebbe partire dal carrello della spesa, non dalla farmacia. Non una corsa all’ultimo integratore, ma la consapevolezza che un piatto cucinato con foglie, bacche e spezie sia un atto epigenetico e, in fondo, un gesto spirituale.


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