ven, 05 dicembre 2025

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Spiritual News
Il Natale 2025 si prepara a segnare una svolta nel modo in cui le famiglie affrontano la festa più iconica dell’anno. Non è solo questione di decorazioni o regali: il cuore del cambiamento riguarda la crescente consapevolezza climatica e la volontà di rendere i gesti natalizi più coerenti con i valori etici emergenti. Secondo nuove raccolte dati e iniziative promosse da organismi internazionali, cresce l’adozione di pratiche che riducono sprechi, eccessi e consumi superflui. Le campagne pubbliche dedicate alle festività — in Europa come in altri continenti — segnalano un progressivo spostamento dall’acquisto compulsivo verso rituali che privilegiano la qualità del gesto rispetto alla quantità degli oggetti scambiati. Ciò si nota sia nelle scuole sia nelle comunità religiose e civiche, dove vengono incoraggiati pranzi collettivi a basso impatto, scambi di oggetti ricondizionati, attività di volontariato e scelte alimentari più sobrie ma simbolicamente ricche. Le iniziative a sostegno di un “Natale sostenibile” stanno mostrando che le nuove pratiche hanno un effetto misurabile anche sulla dimensione psicologica: chi partecipa a rituali comunitari orientati alla sostenibilità riporta un maggiore senso di scopo, un rafforzamento del legame sociale e una percezione di coerenza tra valori personali e comportamenti. La riduzione degli imballaggi, gli acquisti a chilometro zero e la scelta di regali esperienziali stanno diventando atti sempre più diffusi, complice un’evoluzione culturale che vede il consumismo lasciare spazio alla responsabilità condivisa. A livello familiare, molte tradizioni stanno assumendo nuove forme. In diverse città europee si diffonde l’abitudine di dedicare parte della giornata festiva a un’attività ecologica: passeggiate collettive nei parchi, cura di spazi verdi, donazioni a progetti ambientali locali. Il tempo insieme diventa quindi un gesto consapevole, più orientato all’esperienza che all’oggetto. Non si tratta di rinunce, ma di una riconversione del significato del dono: dai pacchi da scartare ai riti da vivere. Tuttavia la trasformazione non è priva di ostacoli. Le aspettative commerciali restano forti e molte famiglie continuano a sentirsi condizionate dal peso del “regalo perfetto”. Per questo le iniziative più efficaci non chiedono di “comprare meno”, ma offrono alternative concrete: voucher per esperienze culturali e sportive, regali riparabili o riciclati, kit di manutenzione, donazioni tracciabili con aggiornamenti sul loro impatto, o addirittura “regali a rotazione” condivisi da comunità ristrette come gruppi di vicinato. Le istituzioni religiose, culturali e scolastiche svolgono un ruolo crescente nell’amplificare queste pratiche. Molti enti stanno proponendo linee guida pratiche — non teoriche — per trasformare cene, scambi e tradizioni in atti più sostenibili. Anche il settore imprenditoriale sta rispondendo, con iniziative che riducono gli sprechi legati alle festività aziendali e che invitano dipendenti e famiglie a gesti di responsabilità sociale. Questa evoluzione suggerisce che il Natale non sta perdendo il proprio valore simbolico, ma si sta riposizionando: la generosità rimane il fulcro, ma assume forme più consapevoli e, paradossalmente, più profonde. Il dono non è più un sostituto della presenza, ma un veicolo che la rafforza. La festa torna così a essere un momento di radicamento emotivo e comunitario.
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Alan Thewless
Il Diario delle Notti Sante 2025-26 di Alan Thewless Proposta per un percorso di contemplazione e annotazioni attraverso le Notti Sante del Natale che conducono all'anno 2026 con riferimento alle immagini delle stelle di mezzanotte Versione tradotta in italiano https://www.liberaconoscenza.it/articoli/liberaconoscenza-diario-notti-sante-2025-26-alan-thewless.html
Notizie
Spiritual News
Negli ultimi mesi una serie di studi internazionali ha messo in discussione un’idea radicata: per ottenere benefici psicologici dalla natura non serve abbandonare la città né organizzare lunghe escursioni. Una ricerca congiunta del Natural Capital Project della Stanford University ha infatti dimostrato che anche brevi immersioni quotidiane negli spazi verdi urbani — della durata di appena 15 minuti — sono sufficienti a ridurre i livelli di ansia, aumentare la sensazione di benessere e favorire comportamenti sociali più equilibrati. I ricercatori hanno analizzato l’impatto del verde “di prossimità”, ovvero parchi, viali alberati, giardini pubblici, perfino aiuole curate, rilevando che la mente umana reagisce già a piccoli stimoli naturali distribuiti lungo la giornata. Non si tratta di un effetto romantico o simbolico: gli esiti raccolti mostrano cali misurabili nel cortisolo, migliore regolazione dell’umore e un incremento spontaneo di attività salutari come la camminata lenta e l’osservazione consapevole dell’ambiente. Anche uno studio pubblicato su Nature ha confermato che la qualità degli spazi verdi cittadini influenza in modo diretto le capacità di recupero dallo stress e la propensione a forme leggere di meditazione quotidiana, come l’attenzione al respiro o alla postura durante la camminata. La novità più rilevante riguarda la scala del fenomeno: la natura urbana non è più considerata solo un elemento estetico o un servizio pubblico marginale, ma un vero e proprio strumento di prevenzione. Gli studiosi parlano di “micro-dosi naturali”, cioè brevi esposizioni ripetute che sommate nel tempo producono effetti comparabili, in alcuni casi, a interventi strutturati per la gestione dell’ansia. Le amministrazioni che stanno investendo in corridoi verdi, tetti piantumati e micro-parchi interni ai quartieri stanno di fatto creando un’infrastruttura sanitaria distribuita, capace di raggiungere persone che spesso non hanno tempo, mezzi o motivazione per pratiche formali di meditazione. Il dato interessante è che questi benefici non richiedono preparazione né particolari abilità: sedersi su una panchina, osservare il movimento delle foglie, seguire con lo sguardo la luce filtrata tra gli alberi sono azioni che attivano automaticamente risposte fisiologiche di calma e regolazione emotiva. Alcuni ricercatori suggeriscono perfino di inserire brevi “minuti verdi” nella routine lavorativa, soprattutto in contesti ad alta densità di stimoli digitali, come forma di ripristino cognitivo. Per il lettore curioso di crescita personale, questa prospettiva introduce un cambiamento importante: il benessere mentale non è necessariamente legato a pratiche lunghe o complesse, ma alla continuità con cui nutriamo i nostri sistemi sensoriali. E se l’ambiente urbano può diventare un alleato, la sfida è imparare a riconoscerlo come tale.

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Varie, Argomenti diversi
Docente di cristalloterapia eterica presso il Centro Studi Pranici fonde la spiritualità con la tecnologia intelligente per rendere l’uomo…
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Il mio nome completo in sanscrito è Swami Bodhi Vipal che significa “Momento di consapevolezza”. Mi è stato donato da OSHO, Maestro di…
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Reiki e Sciamanismo presso Centro di Luce Fabiano Reiki Originale secondo il metodo del dr. Mikao Usui, Metodo Avanzato Karuna® Reiki,…
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Hatha (yoga)
Silvia Tonelli arriva dalla danza Classica per poi studiare e ballare per oltre 15 anni i balli Folklorici tradizionali Emiliano-Romagnoli,…
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Sonia Versace – Guida Spirituale, Scrittrice e Portavoce del Divino Sonia Versace è una guida angelica, insegnante di meditazione, Reiki…
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Counselor Hypnotherapist - Life Coach - Esperta di tecnologie del cambiamento personale. Fondatrice della nuova Morfofisiognomica e del…
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Scuola di danza e arte fondata nel 2005, dalla Direttrice Vanessa Antoniello. Insegnante e Coreografa che ha fatto della sua passione un…
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Terra: da verde a grigia...

Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana
Nella definizione di bioregione si prefigura un territorio caratterizzato dalle sue conformazioni geologiche naturali e dalle forme di vita che vi si svolgono, quindi anche dall'uomo. Il problema è -soprattutto nei luoghi densamente abitati dalla nostra specie- che la morfologia del territorio subisce enormi mutazioni a causa nostra. Non si parla più di ambienti naturali, ovvero di bioregioni governate dalla natura, come poteva essere la foresta amazzonica, la tundra, la pampa, gli ambienti montani od i deserti, ecc. Con la costante crescita della popolazione umana, degli agglomerati urbani, delle industrie, degli allevamenti e delle coltivazioni intensive, della sfruttamento di tutte le risorse reperibili in qualsiasi ambiente, ecc. ormai si può dire che le "bioregioni", ovvero i luoghi governati dalla natura, sono ormai in esaurimento e definitivamente compromessi. Ad esempio, per quanto riguarda il consumo di suolo e delle aree verdi nell’UE è stato appurato che, ogni anno, l’Europa perde 1.500 km² per edifici e infrastrutture ed invasione delle aree naturali per scopi destinati agli umani. Stiamo perdendo, ad un ritmo di 30 km² alla settimana, l’equivalente di 600 campi da calcio al giorno. L’Italia è al 6° posto, con 479 km² di terre naturali distrutte negli ultimi anni... (Fonte: Salviamo il Paesaggio) Ma la distruzione dell'ambiente naturale e della biodiversità non è solo un problema del cosiddetto "primo mondo civilizzato", ormai la devastazione ha raggiunto tutti gli ambiti territoriali, con escavazioni per l'estrazione degli ultimi giacimenti di materie prime necessarie al mantenimento del sistema economico e tecnologico. Causa questa -inoltre- di competizioni, guerre di rapina e inquinamento sempre più estensivo e definitivo. Forse oggi parlare di bioregionalismo, come fecero i poeti bioregionalisti americani degli anni '70 del secolo scorso, ormai significa soltanto esprimere "nostalgicamente" un rimpianto per la vita che abbiamo distrutto, quella degli altri esseri viventi e dei nostri successori umani (se mai ci saranno). Se la specie umana sarà in grado di fermarsi, prima del crollo finale, prima di alienarsi ciò che è quasi irrimediabilmente perduto, o lungi dall'essere parzialmente riconquistato, forse sarà in grado di intraprendere un cammino pratico verso un modo reale di vivere il bioregionalismo. Altrimenti andiamo avanti con l'ambientalismo di facciata stile "Mulino Bianco" e finché dura c'è verdura... Paolo D'Arpini - Rete Bioregionale Italiana
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Il pasto che calma la mente: quando la…

Spiritual News
Negli ultimi anni, la salute mentale ha iniziato a entrare nei luoghi in cui fino a poco tempo fa si parlava quasi esclusivamente di nutrienti, calorie e aderenza alle diete. In diversi centri clinici e universitari si sta consolidando un’idea che appare intuitiva ma che ora trova conferme experimentali: il modo in cui mangiamo modifica lo stato emotivo, la regolazione dello stress e alcuni marcatori psicologici legati ad ansia e depressione. A sostenerlo non sono più solo professionisti orientati al benessere olistico, ma commissioni scientifiche internazionali che, dal 2022 a oggi, hanno invitato i servizi di salute mentale a integrare interventi sullo stile di vita accanto alla psicoterapia e alla farmacologia. Tra questi, la pratica del mindful eating — mangiare con attenzione deliberata, senza distrazioni, con un focus sulle sensazioni corporee — è quella che sta attirando più interesse grazie a una solida base di studi randomizzati e revisioni sistematiche pubblicate su riviste autorevoli come The Lancet Psychiatry, Nature Reviews Psychology e JAMA Network Open. Il dato che ha sorpreso i clinici è duplice. Da un lato, gli studi controllati mostrano riduzioni dell’alimentazione emotiva, una migliore gestione degli episodi di abbuffata e un miglioramento misurabile dei punteggi di ansia e depressione in programmi di 6–12 settimane basati su protocolli di consapevolezza. Dall’altro lato, esperimenti di neuroimaging hanno registrato modifiche nelle aree cerebrali coinvolte nel craving e nella risposta allo stress: quando una persona impara a portare attenzione al proprio corpo durante un pasto, la corteccia prefrontale — sede delle funzioni regolatorie — sembra intervenire prima e con maggiore efficacia. La questione non riguarda più solo il rapporto con il cibo, ma il modo in cui la percezione interna può modulare meccanismi emotivi profondi. Terapeuti e nutrizionisti clinici riferiscono tre cambiamenti particolarmente ricorrenti nei pazienti che adottano questa pratica: una maggiore capacità di distinguere la fame fisiologica da quella emotiva, un rallentamento spontaneo della masticazione che migliora la digestione e il senso di sazietà, e una riduzione delle scelte impulsive davanti al cibo. Molte strutture ospedaliere stanno testando interventi brevi — esercizi di 15–20 minuti prima del pasto, pratiche sensoriali, protocolli di respirazione — come complemento alle terapie standard per pazienti con disturbi d’ansia o problematiche legate alla disregolazione alimentare. I risultati sono promettenti, ma non privi di limitazioni: la letteratura mostra ancora una forte eterogeneità nei metodi, nelle durate e negli strumenti di valutazione, rendendo difficile standardizzare linee guida globali. Gli esperti concordano su un punto essenziale: la consapevolezza applicata al pasto non può essere considerata un trattamento unico per disturbi psicologici severi. Non sostituisce la psicoterapia né la farmacologia nei casi in cui queste siano indicate. Funziona piuttosto come facilitatore: migliora l’aderenza ai percorsi terapeutici, riduce la reattività allo stress e sembra aumentare la resilienza psicologica. La parte più interessante è forse quella più semplice. Portare attenzione a ciò che accade mentre si mangia — lasciare da parte il telefono, osservare colore e consistenza del cibo, prendersi tre morsi lenti prima di decidere se continuare — trasforma un atto automatico in una leva di regolazione emotiva. I ricercatori lo chiamano “intervento a bassa soglia”: costa poco, richiede pochissimo tempo e produce effetti misurabili sia nel benessere soggettivo sia nelle scale cliniche. L’esito inatteso è che un gesto quotidiano, ripetitivo e apparentemente banale come il pasto può diventare, in alcune persone, la porta d’ingresso più efficace verso una stabilità emotiva che meditazioni lunghe o diete rigide non riescono a garantire. E l’idea più sorprendente è questa: per qualcuno, il più potente esercizio spirituale non è stare seduti in silenzio, ma imparare a mordere lentamente una mela.


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