ven, 02 maggio 2025

Il Bene ed il Male

Da migliaia di anni, la filosofia tenta inutilmente di dare una definizione di bene dalla quale, inevitabilmente, deriva la definizione di male (e viceversa). Fra tentativi metafisici, oggettivistici, soggettivistici ed altri ancora, il concetto di bene lo si ottiene più per vie indirette che dirette, più per analogie che per caratteristiche individuate.

Platone paragona il bene al sole: come il sole fa essere e rende visibili le cose, il bene fa essere e rende conoscibile il mondo delle idee, cui lo stesso mondo sensibile partecipa per quello che ha di vero e di buono. Il bene, secondo questa visione, diventa la radice e la fonte dell’essere e del valore di tutte le cose. Già Aristotele comincia a contestare un simile concetto, sostenendo che il bene non può essere un’idea trascendente ma qualcosa di agibile e di praticabile da parte dell’uomo; per lui il bene è l’atto puro o motore immobile che spiega il continuo passaggio delle cose dalla potenza all’atto.

Plotino fa del bene la prima ipostasi dell’Uno: le cose sono buone in quanto partecipano al Bene, derivando per via emanativa da esso. Il Cristianesimo non si discosta da questa linea ed afferma che l’Essere Supremo è il Sommo Bene e le creature sono buone in quanto, da lui create, gli sono in qualche modo simili.
La filosofia moderna, cerca di definire il bene in relazione al soggetto che lo vuole o lo desidera. Ma la soggettività è puramente empirica, per cui è inevitabile un relativismo che mal si accorda alla legge universale. Kant descrive il bene come ciò che è voluto da una volontà che si determina secondo una legge universale ed in questo modo si identifica con la volontà buona. Le correnti filosofiche moderne, si posizionano su un concetto soggettivo e relativistico, lontano dalle visioni teologiche, vicino alla visione generale dei valori. Ancora una volta siamo lontani da una definizione certa ed inequivoca di ciò che è il bene. Ma non stiamo meglio se andiamo a cercare la definizione di male. Nelle antiche mitologie (anche in Zoroastro) bene e male erano la derivazione in campo umano, dell’azione di divinità buone e cattive. Platone, quando scrive “Le Leggi”, afferma che esistono due anime del mondo, una che produce il bene, l’altra il male, pur negando che il male derivi da Dio: il male è solo responsabilità dei vizi dell’uomo. I cristiani vedono il male nella colpa volontaria, un atto morale che costituisce peccato.

Agostino e molti suoi seguaci negano la realtà positiva del male, lo considerano solo un valore negativo, un non–essere. Il male è una deficienza di essere che può toccare alle creature in quanto esse sono imperfette per essenza. Difficile capire l’imperfezione dal momento che sono create da Dio, ancora più difficile afferrare il concetto del male cosmico, dal mo mento che esso si scontra con il bene cosmico, su un piano di assoluta parità. Il manicheismo affermava che bene e male sono sempre presenti nella realtà ed operano costantemente come principi distinti e contrapposti, alla stessa stregua della luce e delle tenebre.
Per Epicuro, la presenza del male nel mondo è la prova che gli dei si disinteressano degli umani: se volessero potrebbero toglierlo, se non sono capaci allora sono impotenti, se lo vogliono sono maligni. Gli Stoici erano meno cattivi: il mondo è retto dalla provvidenza divina ed il male è presente in quanto contribuisce alla perfezione complessiva del tutto. Più recentemente, in campo cristiano, è sorta una nuova visione del male. Esso non è più considerato in modo negativo, ma acquista una valenza positiva in rapporto alla perfezione di Dio che, in presenza della propria opera, ne deve tollerare la presenza.

Nell’accingersi a presentare le tendenze che si risolvono nella negazione del male, si può avere l’impressione istintiva che esse soddisfino istanze razionali piuttosto elementari, ottimistiche e manchino di quelle problematiche intimamente religiose e sofferte, che soggiacciono ad ogni impostazione dualistica del mistero del male. Ma il giudizio su queste tendenze si modifica e si rende complesso, non appena si osservi che la negazione non è avvenuta storicamente soltanto sul terreno filosofico ma anche sul terreno teologico ed è stata fatta da parte di pensatori consapevoli dei presupposti del messaggio cristiano.
Il primo germe di questa tendenza si può riscontrare tra il VI ed il V secolo a. C. in quel pensatore efesino che risponde al nome di Eraclito. Eraclito insegna la dialettica dei contrari che è “continua creatrice di vita” e “dà al divenire il suo alimento inesauribile”. “Tutto ciò che nel mondo avviene si fa per tensioni opposte, come nella lira e nell’arco; vi è dunque un’intima concordia nell’apparente discordia, un’armonia segreta, che vince la disarmonia dei contrasti”. In ultima istanza, c’è una razionalità intima delle cose che si nasconde alla vista, ma si attua nel profondo, perché “la natura ama celarsi”.

Noi ci lasciamo colpire dalle parvenze esterne, secondo le quali la lotta è distruzione e dissipazione di forze ed amiamo perciò immaginare, come uno stato felice, il dominio incontrastato del solo termine positivo: così una giustizia senza ingiustizia, una verità senza errore, una luce senza tenebre, ci sembrano più feconde nel loro spiegamento pacifico. Se questo stato potesse invece realizzarsi, esse sarebbero soggette ad inerzia e dissipazione; ciò che le alimenta è il contrasto che continuamente rinasce della ingiustizia, dell’errore, delle tenebre: come dice Eraclito: “Non si riconoscerebbe la parola giustizia se non esistesse l’ingiustizia”, e continua dicendo: “La malattia fa dolce la salute, il male il bene, il riposo il moto”. Cosicchè l’insegnamento eracliteo conclude all’unità del bene e del male: “Ci sbagliamo quando rigettiamo certe cose come cattive, senza intravvedere il bene di cui esse sono la condizione. Soltanto dal punto di vista dell’uomo, punto di vista ristretto e limitato, esistono delle cose ingiuste e cattive; ma in realtà tutto è bene, eternamente”. ... (continua la lettura scaricandoti il Pdf qui sotto)

Scheda dettagli:

Data: 26 marzo 2009Autore: Sergio de Ruggiero
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