mar, 24 giugno 2025

Vivere Serenamente

Per vivere serenamente occorre superare le proprie paure

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La Pace Viene da Dentro; non Cercarla Fuori” (Buddha)

Vivere una vita serena, senza turbamenti, è un auspicio che noi tutti vorremmo si realizzasse.
Quando tutto va secondo i nostri piani allora gioiamo, altrimenti al primo imprevisto o al primo ostacolo, siamo pronti a inveire contro il fato o contro qualcuno, se lo riteniamo responsabile delle nostre sfortune.
In realtà siamo solo noi gli “artefici del nostro destino”. Realizzarlo presto, ci farebbe vivere con più libertà e più pienezza.
Il problema di tutto è la nostra mente che spesso ci confonde e crea pensieri afflittivi più che costruttivi.
Supponiamo di aver subito un’ingiustizia o di avere una preoccupazione. Non faremo che pensare a questo. In genere, al primo pensiero ne facciamo seguire un altro e un altro ancora, ingigantendoli. Se il problema ha una soluzione, dobbiamo metterla in atto; se non c’è soluzione dovremmo essere così abili da “zittire” la mente o, almeno, trasformare il pensiero che tanto ci tormenta.
Capita spesso che un pensiero diventi, nel tempo, sempre più grande fino a trasformarsi in un’idea fissa o in un’ossessione. In questo caso il percorso per trasformare un’ossessione è molto più lungo, proprio perché l’idea continua e ossessiva è molto ben radicata.
Una mente che pensa troppo ed è piena di inquietudini, porta anche il corpo ad ammalarsi. Non a caso si parla di “disfunzioni psico-somatiche” (come ad esempio, ansia, depressione, insonnia, problemi digestivi, ecc.).
Quando siamo piccoli, abbiamo una mente pura e “incontaminata” ma anche molto duttile.
Se nasciamo in una famiglia con genitori problematici, a loro volta impauriti, arrabbiati e segnati dalla vita, cresceremo a loro immagine e somiglianza.
I genitori, se non hanno superato i loro traumi, ci trasmetteranno la loro visione parziale e “compromessa” dell’esistenza e noi cresceremo così, con comportamenti e pensieri acquisiti, senza avere la possibilità di conoscerci a fondo e di avere una visione obiettiva del mondo.
Nel frattempo anche la società non aiuta perché è strutturata e pre-costituita. Siamo già incanalati verso un percorso di vita che spesso è stato stabilito da altri. Capita di scegliere degli studi o un impiego perché spinti dai genitori, ad esempio, o per prestigio sociale.
Scopo della nostra vita è “risvegliarci”, capire chi siamo realmente. Questo ci rende liberi e ci fa vivere serenamente.
Abbiamo un’immagine di noi stessi che, per alcuni lati ci soddisfa ma per altri no. Nessuno ci ha insegnato ad accettarci in toto anzi ci insegnano a reprimere quello che, socialmente, è ritenuto inconveniente.
Non dobbiamo temere le nostre “zone d’ombra”, come le definiscono gli psicologi, quei lati di noi che ignoriamo con forza e teniamo ben nascosti.
Supponiamo, ad esempio, di avere spesso attacchi improvvisi di rabbia. Ci è stato insegnato che la rabbia è qualcosa di poco virtuoso quindi dovremmo reprimerla o, per lo meno, contenerla. Nelle pratiche orientali, ogni emozione negativa non va repressa ma trasformata. L’energia che mettiamo nella rabbia o in un’altra emozione afflittiva è la stessa che può essere trasformata, ad esempio, in amore e compassione. E’ la stessa energia, non sono due cose diverse. Invece, sottomessi alla dualità (buono e cattivo, bello e brutto, ecc), riteniamo che rabbia e compassione siano due cose separate come se noi stessi fossimo divisi in due.
Quando in una stanza buia accendiamo la luce, l’oscurità scompare ma la stanza è sempre la stessa.
Se temiamo la nostra rabbia e la ricacciamo “in cantina” (come direbbe il Maestro zen Thich Nhat Hahn), non facciamo altro che nasconderla ancora. Thich Nhat Hahn afferma che preferiamo sempre tenere “pulito il soggiorno” quindi la parte di noi più esposta agli altri e, tutto quello che non amiamo lo releghiamo “in cantina”. “La cantina” rappresenta il nostro inconscio, dove paure e traumi dimorano.
Sovente, dalla “cantina” (nostra parte oscura), i traumi riaffiorano e vengono a bussare alla porta. Tutto quello che ci ha ferito e che, per evitare il perpetuarsi del dolore, abbiamo allontanato, rimane, in realtà, nel nostro inconscio.
Se non trasformiamo traumi e paure, questi riemergeranno e si faranno sentire, ad esempio, attraverso un attacco di collera immotivata o un attacco d’ansia di cui ignoriamo l’origine.
Spesso la causa di una depressione o di un qualsiasi malessere psico-fisico deriva da traumi pregressi che cerchiamo, malamente, di ricacciare nell’inconscio.
Tutto questo ci fa vivere nell’insicurezza e nella paura. Non conoscendoci, non sapendo chi siamo, qualcosa ci sfugge e quindi ci attacchiamo a ciò che possediamo materialmente o affettivamente. Non avendo noi come punto di riferimento, cerchiamo riferimenti esterni (la nostra casa, il nostro partner, i nostri figli, il lavoro). Perdendo uno di questo riferimenti esterni, per qualsiasi motivo, sentiamo di aver perso qualcosa di noi.
In realtà non si perde nulla. Tutto si trasforma e niente dura in eterno. Ciò che possediamo, possiamo perderlo, un affetto può allontanarsi da noi, se non altro perché passa a miglior vita. Aggrapparci avidamente a qualcosa di esterno, lottando per non distaccarcene, porta sicuramente ad una grande sofferenza.
L’unico reale punto di riferimento siamo noi stessi (“tornare all’isola di se stessi” diceva il Buddha).
Pratiche come lo Yoga e la meditazione sono di grande aiuto. Occorre ancorarsi al respiro per riuscire a trasformare la propria mente confusa e le proprie emozioni negative.
La stessa energia che mettiamo nell’esprimere un’emozione afflittiva, o nel coltivare un pensiero fisso o un’ossessione, possiamo deviarla verso il respiro.
In genere è meglio farsi trasmettere queste pratiche da un valido Maestro o da un bravo insegnante.

In conclusione, per conoscere noi stessi, non dobbiamo aver paura di essere gettati nel fuoco e di attraversare il buio. Solo così potremo vedere la luce. Le pratiche di respirazione (Pranayama) agiscono sull’inconscio, smuovono le paure ancestrali e ci trasformano.
T.S. Eliot, scrittore statuinitense, diceva: “Nella mia fine, il mio principio”.
Come dicono diversi Maestri: “E’ l’esterno che segue l’interno”. Inutile cambiare sempre e solo le cose esternamente, per sentire meno dolore; occorre sistemare le cose dentro di noi.

Scheda dettagli:

Data: 19 novembre 2014Autore: Rita Modica
Fonte/Casa Editrice: Pubblicato su "Hariel".
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