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Vivisezione: un Errore Metodologico
Ricordiamo le considerazioni logiche e scientifiche che stanno alla base della battaglia civile contro la vivisezione. La vivisezione sopravvive perché la gente non è informata o è indifferente, che equivale alla morte dell'anima.
Fonte: Promiseland http://www.promiseland.it mailto:info@promiseland.it - Articolo di: Stefano Cagno - Tratto da: "La voce dei senza voce" organo ufficiale della Lega Antivivisezionista (LEAL) n° 51, autunno 2001 - Sito internet: http://www.leal.it
Ritengo che i medici antivivisezionisti debbano continuamente aggiornarsi e proporre sempre più dati ed argomentazioni in grado di confutare la presunta, ma mai dimostrata, utilità dell'impiego degli animale nella ricerca. Sono però altrettanto convinto che sia importante tornare periodicamente a discutere e ricordare le basi logiche della nostra battaglia civile, per una ricerca più valida e scientifica, ma anche eticamente accettabile. Il professor Pietro Croce, uno dei padri storici dell'antivivisezionismo scientifico in Italia, ha dato, secondo me, la migliore definizione della vivisezione: un "errore metodologico". Questo sarà il mio punto di partenza e di seguito cercherò di spiegare sinteticamente il vizio originale insito nella vivisezione ed evidenzierò anche alcune contraddizioni in termini logici manifestate dagli stessi ricercatori.
Innanzitutto la vivisezione si fonda su tre grandi errori.
Primo, ogni specie animale possiede una propria anatomia, fisiologia, genetica, biochimica e non può essere confrontata con nessuna altra. Secondo, le condizioni di stabulazione, ossia di permanenza nei laboratori, modificano le reazioni degli animali che, a questo punto, si comportano in maniera differente anche rispetto ai loro simili che vivono liberi. Infine le malattie vengono indotte negli animali in maniera artificiale e forzata, mentre negli esseri umani si sviluppano spontaneamente e quindi lentamente.
Sul primo errore potrei presentare innumerevoli esempi: la penicillina uccide le cavie, ma cura gli esseri umani, in compenso per questi ultimi la diossina è altamente tossica, mentre i criceti ne possono mangiare cucchiaiate. Fate fumare qualsiasi specie animale e non si ammalerà mai di tumore polmonare, cosa che accade ai nostri simili. Chi di voi salterebbe come il suo gatto? E chi si arrampicherebbe sulle rocce come un camoscio e passerebbe da una liana ad un'altra come le scimmie? E ancora chi si nutrirebbe con il cibo di un ratto, senza che gli venga qualche gravissima intossicazione? Date quanta aspirina volete ad una donna gravida e i figli nasceranno sanissimi. Fate lo stesso con i ratti, i topi, le scimmie, i cani, i gatti e le cavie e vedrete che nasceranno moltissimi piccoli focomelici. E su questa strada potrei continuare all'infinito. Riguardo alla stabulazione, posso ricordare che ormai c'è la tendenza a non utilizzare più carcerati per la sperimentazione umana, poiché è dimostrato scientificamente che condizioni di vita stressanti sono in grado di diminuire l'efficienza del nostro sistema immunitario e quindi le malattie si sviluppano più facilmente e le sostanze terapeutiche agiscono in maniera differente. Insomma anche la medicina occidentale non può negare che psiche e soma, ossia mente e corpo, sono collegati e capaci di influenzarsi a vicenda. Eppure un carcerato può razionalizzare, cioè darsi una spiegazione razionale, una giustificazione per la sua privazione della libertà. Gli animali non possono fare tutto ciò: subiscono un devastante trattamento negli stabulari e non saranno mai in grado di capire il perché di quanto gli sta accadendo. Così anche i loro sistemi immunitari e metabolici saranno profondamente alterati e questa sarà la spiegazione razionale della non utilità nemmeno per i loro simili. Per comprendere il terzo errore posso ricordare che i vivisettori pretendono, ad esempio, di paragonare un tumore della pelle che si sviluppa lentamente in un essere umano, con quello che provocano in pochi mesi in un coniglio che vive in una gabbia, o addirittura bloccato in un apparecchio di contenzione, e più volte al giorno spennellano con il catrame. A questo punto i vivisettori stessi riconoscono la fondatezza di queste obiezioni, ma affermano che esiste la necessità di sperimentare anche su organismi in toto e non potendo fare ciò, in prima battuta, sugli esseri umani, bisogna farlo sugli animali, poiché simili a noi. Ma in biologia in concetto di simile è totalmente privo di significato. Infatti chi accetterebbe di entrare in una stanza dove c'è un gas simile all'ossigeno? Chi accetterebbe una trasfusione di un liquido simile al sangue? Sicuramente nessuno! Eppure tutti noi accettiamo ogni giorno di entrare in contatto con sostanze (farmaci e non), la cui sicurezza è stata studiata su esseri viventi a noi simili. Similitudine, solo da un punto di vista biologico perché, se poi andiamo a parlare di etica, i vivisettori affermano che invece gli animali sono diversi, dimostrando, in questa caso, anche una buona dose di incoerenza. A questo punto, di solito, i vivisettori passano dal piano teorico a quello pratico e iniziano ad elencare tutte le presunte scoperte che si sono ottenute grazie alle loro ricerche. Parte di queste, dati storici alla mano, sono false, altre sono state ottenute grazie a scoperte di tipo epidemiologico sugli esseri umani e solo successivamente, e non sempre, confermate negli animali da laboratorio. Utile a tale fine ricordare il caso della scoperta della relazione tra il fumo di sigaretta e l'induzione di tumori polmonari.
Nel 1954 il dottor Richard Doll scopriva, grazie ad una ricerca epidemiologica, che il fumo di sigaretta aumentava il rischio di sviluppare un tumore polmonare. Per anni la validità di tale risultato fu negata, perché i ricercatori non riuscivano a provocare la stessa reazione negli animali da laboratorio. Alla fine anche i vivisettori e le industrie del tabacco che, guarda caso, spesso sponsorizzavano le ricerche sul fumo di sigaretta negli animali, dovettero rassegnarsi all'evidenza. In questo caso i morti per tumore polmonare e i loro famigliari chi dovranno ringraziare, il professor Richard Doll e gli antivivisezionisti o i vivisettori? In altri casi però, effettivamente, si sono ottenuti dei risultati sugli animali e successivamente si è dimostrato che erano simili anche negli esseri umani. Un metodo scientifico però dovrebbe fornire risultati utili a priori, non a posteriori. Perché allora non ricordare le migliaia di farmaci terapeutici e sicuri negli animali, che solo successivamente si sono dimostrati non terapeutici e/o tossici nei nostri simili? Perché non ricordare che negli USA il 51% dei farmaci manifesta gravi reazioni avverse, ossia che provocano malattie serie, o invalidità o morte, che non si erano prima evidenziate negli animali da esperimento? E perché non ricordare ancora che, sempre negli USA, ogni anno muoiono circa 100.000 persone a causa dei farmaci considerati sicuri nei test dei vivisettori?
Il colmo dell'incoerenza però si raggiunge nelle ricerche di fisiologia. Qui, spesso, i vivisettori ricorrono agli animali perché dicono che le ricerche sono troppo traumatiche e quindi eticamente non accettabili da compiere sugli esseri umani. Dopo avere, però, terminato una ricerca i fisiologi non sono in grado di affermare con certezza che la loro scoperta è valida sugli esseri umani, fino a quando non si scopre una tecnica, non traumatica e quindi utilizzabile anche sui nostri simili. Ma allora cosa serve sperimentare sugli animali?
Altre volte invece le tecniche esistono, ma si passa comunque attraverso la vivisezione. In questi casi perché, visto che non esistono ostacoli di tipo etico non si cercano subito negli esseri umani i dati che ci servono? Riassumendo quindi posso dire che in ogni caso posso stabilire solo a posteriori se gli animali si sono comportati in maniera simile agli esseri umani e questo succede solo in una stretta minoranza di casi. In tutti gli altri il prezzo sarà molto alto: malattie, invalidità permanenti e morte. Nonostante ciò continuiamo ad impiegare il test LD50, inventato nel 1927 e il Draize Test inventato nel 1944, aggiungendo con ciò alla irrazionalità scientifica anche la pigrizia mentale dei ricercatori che restano ancorati a metodiche vecchie di quasi un secolo. La vivisezione sopravvive perché la gente non è informata e a volte, purtroppo, anche quando lo è, fa finta di non capire per non turbarsi. Si preferisce credere alle favole, anche quando si è adulti, si preferisce accettare gli slogan, piuttosto che i fatti.
A noi medici antivivisezionisti non rimane che continuare dritti per la nostra strada, convinti delle nostre idee e sicuri di avere fatto il nostro dovere di informazione, di crescita culturale e scientifica. Avremo cercato in tutti i modi di tutelare la salute dei nostri assistiti, come riconosciuto dalla deontologia professionale e, perché no, anche cercato di evitare pratiche crudeli verso gli animali che, spesso, urlano vendetta al cielo.
Fonte: Promiseland http://www.promiseland.it mailto:info@promiseland.it - Articolo di: Stefano Cagno - Tratto da: "La voce dei senza voce" organo ufficiale della Lega Antivivisezionista (LEAL) n° 51, autunno 2001 - Sito internet: http://www.leal.it
Ritengo che i medici antivivisezionisti debbano continuamente aggiornarsi e proporre sempre più dati ed argomentazioni in grado di confutare la presunta, ma mai dimostrata, utilità dell'impiego degli animale nella ricerca. Sono però altrettanto convinto che sia importante tornare periodicamente a discutere e ricordare le basi logiche della nostra battaglia civile, per una ricerca più valida e scientifica, ma anche eticamente accettabile. Il professor Pietro Croce, uno dei padri storici dell'antivivisezionismo scientifico in Italia, ha dato, secondo me, la migliore definizione della vivisezione: un "errore metodologico". Questo sarà il mio punto di partenza e di seguito cercherò di spiegare sinteticamente il vizio originale insito nella vivisezione ed evidenzierò anche alcune contraddizioni in termini logici manifestate dagli stessi ricercatori.
Innanzitutto la vivisezione si fonda su tre grandi errori.
Primo, ogni specie animale possiede una propria anatomia, fisiologia, genetica, biochimica e non può essere confrontata con nessuna altra. Secondo, le condizioni di stabulazione, ossia di permanenza nei laboratori, modificano le reazioni degli animali che, a questo punto, si comportano in maniera differente anche rispetto ai loro simili che vivono liberi. Infine le malattie vengono indotte negli animali in maniera artificiale e forzata, mentre negli esseri umani si sviluppano spontaneamente e quindi lentamente.
Sul primo errore potrei presentare innumerevoli esempi: la penicillina uccide le cavie, ma cura gli esseri umani, in compenso per questi ultimi la diossina è altamente tossica, mentre i criceti ne possono mangiare cucchiaiate. Fate fumare qualsiasi specie animale e non si ammalerà mai di tumore polmonare, cosa che accade ai nostri simili. Chi di voi salterebbe come il suo gatto? E chi si arrampicherebbe sulle rocce come un camoscio e passerebbe da una liana ad un'altra come le scimmie? E ancora chi si nutrirebbe con il cibo di un ratto, senza che gli venga qualche gravissima intossicazione? Date quanta aspirina volete ad una donna gravida e i figli nasceranno sanissimi. Fate lo stesso con i ratti, i topi, le scimmie, i cani, i gatti e le cavie e vedrete che nasceranno moltissimi piccoli focomelici. E su questa strada potrei continuare all'infinito. Riguardo alla stabulazione, posso ricordare che ormai c'è la tendenza a non utilizzare più carcerati per la sperimentazione umana, poiché è dimostrato scientificamente che condizioni di vita stressanti sono in grado di diminuire l'efficienza del nostro sistema immunitario e quindi le malattie si sviluppano più facilmente e le sostanze terapeutiche agiscono in maniera differente. Insomma anche la medicina occidentale non può negare che psiche e soma, ossia mente e corpo, sono collegati e capaci di influenzarsi a vicenda. Eppure un carcerato può razionalizzare, cioè darsi una spiegazione razionale, una giustificazione per la sua privazione della libertà. Gli animali non possono fare tutto ciò: subiscono un devastante trattamento negli stabulari e non saranno mai in grado di capire il perché di quanto gli sta accadendo. Così anche i loro sistemi immunitari e metabolici saranno profondamente alterati e questa sarà la spiegazione razionale della non utilità nemmeno per i loro simili. Per comprendere il terzo errore posso ricordare che i vivisettori pretendono, ad esempio, di paragonare un tumore della pelle che si sviluppa lentamente in un essere umano, con quello che provocano in pochi mesi in un coniglio che vive in una gabbia, o addirittura bloccato in un apparecchio di contenzione, e più volte al giorno spennellano con il catrame. A questo punto i vivisettori stessi riconoscono la fondatezza di queste obiezioni, ma affermano che esiste la necessità di sperimentare anche su organismi in toto e non potendo fare ciò, in prima battuta, sugli esseri umani, bisogna farlo sugli animali, poiché simili a noi. Ma in biologia in concetto di simile è totalmente privo di significato. Infatti chi accetterebbe di entrare in una stanza dove c'è un gas simile all'ossigeno? Chi accetterebbe una trasfusione di un liquido simile al sangue? Sicuramente nessuno! Eppure tutti noi accettiamo ogni giorno di entrare in contatto con sostanze (farmaci e non), la cui sicurezza è stata studiata su esseri viventi a noi simili. Similitudine, solo da un punto di vista biologico perché, se poi andiamo a parlare di etica, i vivisettori affermano che invece gli animali sono diversi, dimostrando, in questa caso, anche una buona dose di incoerenza. A questo punto, di solito, i vivisettori passano dal piano teorico a quello pratico e iniziano ad elencare tutte le presunte scoperte che si sono ottenute grazie alle loro ricerche. Parte di queste, dati storici alla mano, sono false, altre sono state ottenute grazie a scoperte di tipo epidemiologico sugli esseri umani e solo successivamente, e non sempre, confermate negli animali da laboratorio. Utile a tale fine ricordare il caso della scoperta della relazione tra il fumo di sigaretta e l'induzione di tumori polmonari.
Nel 1954 il dottor Richard Doll scopriva, grazie ad una ricerca epidemiologica, che il fumo di sigaretta aumentava il rischio di sviluppare un tumore polmonare. Per anni la validità di tale risultato fu negata, perché i ricercatori non riuscivano a provocare la stessa reazione negli animali da laboratorio. Alla fine anche i vivisettori e le industrie del tabacco che, guarda caso, spesso sponsorizzavano le ricerche sul fumo di sigaretta negli animali, dovettero rassegnarsi all'evidenza. In questo caso i morti per tumore polmonare e i loro famigliari chi dovranno ringraziare, il professor Richard Doll e gli antivivisezionisti o i vivisettori? In altri casi però, effettivamente, si sono ottenuti dei risultati sugli animali e successivamente si è dimostrato che erano simili anche negli esseri umani. Un metodo scientifico però dovrebbe fornire risultati utili a priori, non a posteriori. Perché allora non ricordare le migliaia di farmaci terapeutici e sicuri negli animali, che solo successivamente si sono dimostrati non terapeutici e/o tossici nei nostri simili? Perché non ricordare che negli USA il 51% dei farmaci manifesta gravi reazioni avverse, ossia che provocano malattie serie, o invalidità o morte, che non si erano prima evidenziate negli animali da esperimento? E perché non ricordare ancora che, sempre negli USA, ogni anno muoiono circa 100.000 persone a causa dei farmaci considerati sicuri nei test dei vivisettori?
Il colmo dell'incoerenza però si raggiunge nelle ricerche di fisiologia. Qui, spesso, i vivisettori ricorrono agli animali perché dicono che le ricerche sono troppo traumatiche e quindi eticamente non accettabili da compiere sugli esseri umani. Dopo avere, però, terminato una ricerca i fisiologi non sono in grado di affermare con certezza che la loro scoperta è valida sugli esseri umani, fino a quando non si scopre una tecnica, non traumatica e quindi utilizzabile anche sui nostri simili. Ma allora cosa serve sperimentare sugli animali?
Altre volte invece le tecniche esistono, ma si passa comunque attraverso la vivisezione. In questi casi perché, visto che non esistono ostacoli di tipo etico non si cercano subito negli esseri umani i dati che ci servono? Riassumendo quindi posso dire che in ogni caso posso stabilire solo a posteriori se gli animali si sono comportati in maniera simile agli esseri umani e questo succede solo in una stretta minoranza di casi. In tutti gli altri il prezzo sarà molto alto: malattie, invalidità permanenti e morte. Nonostante ciò continuiamo ad impiegare il test LD50, inventato nel 1927 e il Draize Test inventato nel 1944, aggiungendo con ciò alla irrazionalità scientifica anche la pigrizia mentale dei ricercatori che restano ancorati a metodiche vecchie di quasi un secolo. La vivisezione sopravvive perché la gente non è informata e a volte, purtroppo, anche quando lo è, fa finta di non capire per non turbarsi. Si preferisce credere alle favole, anche quando si è adulti, si preferisce accettare gli slogan, piuttosto che i fatti.
A noi medici antivivisezionisti non rimane che continuare dritti per la nostra strada, convinti delle nostre idee e sicuri di avere fatto il nostro dovere di informazione, di crescita culturale e scientifica. Avremo cercato in tutti i modi di tutelare la salute dei nostri assistiti, come riconosciuto dalla deontologia professionale e, perché no, anche cercato di evitare pratiche crudeli verso gli animali che, spesso, urlano vendetta al cielo.