sab, 03 maggio 2025

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Studio: dal 2048 non Potremo più Mangiare Pesce?

Uno studio pubblicato su Science prevede per il 2048 il collasso della disponibilità mondiale di pesce.

Siete degli amanti della cucina a base di pesce ? Allora dovete sbrigarvi e portare i vostri figli nel vostro ristorante preferito perché da grandi potrebbero non avere il piacere di gustare una grigliata mista o un piatto di sushi !

In un recente articolo apparso su Science, Boris Worm dell'Università canadese di Dalhousie (Halifax, Canada) ha dichiarato che entro il 2048 assisteremo ad un drammatico tracollo della disponibilità di pesce a livello mondiale. È noto da tempo che la biodiversità animale dei nostri oceani, sia in termini di quantità che di qualità, è sempre più compromessa. Le cause sono imputabili allo sfruttamento eccessivo, all'inquinamento, alla scomparsa di specifici ecosistemi ed ai cambiamenti climatici globali.

I dati, pubblicati su Science, sono il risultato del See Around Us Project, gestito dalla University of British Columbia a Vancouver (Canada), che ha raccolto 500 milioni di registrazioni relative alla composizione del pescato in tutto il mondo. Dall'analisi di queste informazioni è stato ricostruita l'evoluzione temporale dell'abbondanza di pesce negli oceani. È così emerso che le riserve di pesce presenti nel 2003 erano calate del 30% rispetto a quelle del 1950. Estrapolando queste tendenze al prossimo futuro gli scienziati prevedono che, in assenza di contromisure, la situazione arriverà al collasso nel 2048, quando le riserve scenderanno al di sotto del 10% del loro valore originario.

In un recente rapporto della Scripps Institution of Oceanography (University of California) pubblicato su Nature, sono state esaminate le variazioni nelle riserve di pesce degli ultimi 50 anni. Per isolare l'effetto dovuto alla sfruttamento umano, gli autori hanno confrontato i dati relativi alle specie sfruttate nella pesca rispetto a quelle non sfruttate. Nelle prime si osservano delle più marcate fluttuazioni quantitative nel corso degli anni.

La spiegazione fornita dagli autori è che la pesca altera la normale composizione della popolazione di una specie, tendendo a concentrarsi soprattutto sugli individui di maggiori dimensioni. Si tratta degli individui più anziani, quelli con maggiore esperienza ed efficienza riproduttiva, i quali giocano un ruolo fondamentale quando la specie deve recuperare numericamente dopo un’avversità ambientale o climatica.

Come conseguenza, ogni volta che un fenomeno naturale determina una riduzione della popolazione, queste specie hanno maggiori difficoltà a ripristinare il loro numero. Quindi il danno dovuto alla pesca intensiva avviene su due diversi livelli. Da un lato, sul lungo periodo, si verifica un impoverimento in termini assoluti della disponibilità di pesce. dall’altro, nel più breve periodo , ad indebolisce la specie accentuando le oscillazioni fisiologiche della popolazione dovute ad avversità ambientali.

Gli scienziati sono tuttavia ottimisti. Laddove si sono operati degli sforzi per la conservazione, il declino della pesca è stato più contenuto. Concentrandosi su specie meno sensibili ai danni provocati dalla pesca intensiva, come aringhe e sgombri, ripristinando gli habitat, diminuendo l'inquinamento e le modificazioni climatiche è ancora possibile rimediare. Benché sia chiaro che l'analisi del pescato offre sicuramente un quadro riduttivo e semplificato della biodiversità marina, non vi sono in pratica fonti alternative di dati. La valutazione delle estinzioni a livello degli oceani è molto difficile. A livello di habitat regionali, come estuari o barriere coralline, è comunque chiaro il drammatico calo del numero delle specie.

Gli sforzi volti a conservare la biodiversità non vanno visti in contrapposizione allo sviluppo economico a lungo termine. Si tratta invece di obiettivi strettamente collegati. Promuovendo una pesca sostenibile, tenendo sotto controllo degli inquinanti e creando riserve marine possiamo investire in riproduttività e affidabilità dei beni e dei servizi legati all'oceano, la fonte primaria di cibo e di sopravvivenza per parte consistente della popolazione mondiale. di: Bruna Pelucchi

Scheda dettagli:

Data: 13 novembre 2006
Fonte/Casa Editrice: Ecplanet
Categoria:
Sottocategoria:
Animali, protezione e vita

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