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Scrittrice Palestinese negli Usa, i Diritti della sua Gente
La dibattuta questione sull’ ‘identità’ sembra aver determinato un preoccupante aumento di divisione tra i molti gruppi culturali presenti negli Stati Uniti. Sebbene ciascun gruppo abbia la propria specificità (africana, araba, palestinese, ebraica o bosniaca), molte delle espressioni culturali sono simili. Come donna palestinese e scrittrice, il sogno di una giustizia unita alla libertà e alla pace, alla ricerca della verità, nel tentativo di proteggere la mia identità palestinese, hanno determinato ciò che sono, hanno costituito una sorta di ‘rito di passaggio’ personale.
Come palestinese americana che ha vissuto nei territori occupati per tre formativi anni della propria gioventù, ho imparato velocemente molto della mia eredità culturale e della condizione del mio popolo. Mi sono sentita perciò orgogliosa di essere araba. Ma nonostante ciò, in America, dopo i fatti dell’11 settembre, sembra essere verificata una frammentazione dell’identità palestinese e musulmana. La questione dell’identità, che ci definisce come palestinesi e come donne, vieta ancora adesso una riflessione matura sulla nostra natura di popolo, sulla nostra stessa esistenza. La questione della Palestina e del ruolo delle donne è diventata così una storia dietro la storia, o – meglio ancora – una storia di umana sopravvivenza.
Ci troviamo da anni di fronte al caso di un conflitto regionale irrisolto, di un’occupazione straniera, dell’uccisione di donne, uomini e bambini. Tutto ciò in Medio Oriente ha spesso ripristinato il ruolo centrale delle donne nella difesa dei diritti umani, della pace e dello sviluppo economico. Nella mia visione questi elementi costituiscono i punti centrali del mio impegno culturale in collaborazione con svariati movimenti e organizzazioni femminili, con il Palestinian and Jewish American Project, con i gruppi di dialogo interreligioso e le organizzazioni ecclesiali. Come membro esecutivo della Union of American Palestinian Women (Upaw), dopo essere stata eletta al Comitato di coordinamento nordamericano per le Organizzazioni Non Governative, mi sono calata in una fitta rete di solidarietà e collaborazione internazionale, formata da realtà conosciute internazionalmente, nel tentativo di coordinare lo sforzo delle persone di buona volontà e di valorizzare la presenza e il contributo spesso nascosti delle donne.
Lo sforzo delle donne per la pace e per il rinnovamento economico e politico rimane nascosto o scarsamente visibile. Donne come Sameeha Khalil, la palestinese che ha fondato il movimento Inash El Usra, impegnato nel sostentamento delle famiglie, ben simboleggia ciò che significa resistere all’occupazione. Per anni, le donne palestinesi si sono impegnate per incrementare il ruolo femminile nella presa delle decisioni concernenti la pace, per garantire da parte dell’Onu la difesa della popolazione civile negli scontri armati, per preservare la cultura araba nei territori occupati. Io posso testimoniare in prima persona la partecipazione e il coraggioso sacrificio delle donne palestinesi nel tentativo di stabilire contatti tra cristiani, musulmani ed ebrei, con la speranza che in questo modo possa realizzarsi la liberazione della Palestina. Continuo a sperare che esse continuino a contribuire a creare una migliore atmosfera per la corretta comprensione della libertà di ciascuno, della giustizia e della propria identità.
Avendo constatato personalmente le deplorevoli condizioni dei palestinesi concentrati nei campi profughi del Libano meridionale, della Giordania e della Siria, come giornalista e scrittrice oggi ho la possibilità di raccontare storie sconosciute, di attribuire un volto umano alla realtà. La letteratura annovera racconti e poemi che hanno influenzato la mia predilezione per le storie di vita vissuta, ma che raramente vengono proposti con accuratezza e giusta attenzione nel flusso mediatico americano. Questo avviene per tutte quelle letterature legate a una identità in pericolo. Mi viene in mente una frase dello scrittore afro-americano Toni Morrison: “Quando tu uccidi gli antenati, uccidi te stesso”. Pertanto il problema della salvaguardia dei diritti, del riconoscimento dell’impegno femminile non è una sfida esclusivamente politica, ma anche culturale, che passa attraverso un lavoro di recupero della propria identità, della propria specificità.
(di Leila Diab, Scrittrice e giornalista palestinese-statunitense ©) (POPOLI)
Come palestinese americana che ha vissuto nei territori occupati per tre formativi anni della propria gioventù, ho imparato velocemente molto della mia eredità culturale e della condizione del mio popolo. Mi sono sentita perciò orgogliosa di essere araba. Ma nonostante ciò, in America, dopo i fatti dell’11 settembre, sembra essere verificata una frammentazione dell’identità palestinese e musulmana. La questione dell’identità, che ci definisce come palestinesi e come donne, vieta ancora adesso una riflessione matura sulla nostra natura di popolo, sulla nostra stessa esistenza. La questione della Palestina e del ruolo delle donne è diventata così una storia dietro la storia, o – meglio ancora – una storia di umana sopravvivenza.
Ci troviamo da anni di fronte al caso di un conflitto regionale irrisolto, di un’occupazione straniera, dell’uccisione di donne, uomini e bambini. Tutto ciò in Medio Oriente ha spesso ripristinato il ruolo centrale delle donne nella difesa dei diritti umani, della pace e dello sviluppo economico. Nella mia visione questi elementi costituiscono i punti centrali del mio impegno culturale in collaborazione con svariati movimenti e organizzazioni femminili, con il Palestinian and Jewish American Project, con i gruppi di dialogo interreligioso e le organizzazioni ecclesiali. Come membro esecutivo della Union of American Palestinian Women (Upaw), dopo essere stata eletta al Comitato di coordinamento nordamericano per le Organizzazioni Non Governative, mi sono calata in una fitta rete di solidarietà e collaborazione internazionale, formata da realtà conosciute internazionalmente, nel tentativo di coordinare lo sforzo delle persone di buona volontà e di valorizzare la presenza e il contributo spesso nascosti delle donne.
Lo sforzo delle donne per la pace e per il rinnovamento economico e politico rimane nascosto o scarsamente visibile. Donne come Sameeha Khalil, la palestinese che ha fondato il movimento Inash El Usra, impegnato nel sostentamento delle famiglie, ben simboleggia ciò che significa resistere all’occupazione. Per anni, le donne palestinesi si sono impegnate per incrementare il ruolo femminile nella presa delle decisioni concernenti la pace, per garantire da parte dell’Onu la difesa della popolazione civile negli scontri armati, per preservare la cultura araba nei territori occupati. Io posso testimoniare in prima persona la partecipazione e il coraggioso sacrificio delle donne palestinesi nel tentativo di stabilire contatti tra cristiani, musulmani ed ebrei, con la speranza che in questo modo possa realizzarsi la liberazione della Palestina. Continuo a sperare che esse continuino a contribuire a creare una migliore atmosfera per la corretta comprensione della libertà di ciascuno, della giustizia e della propria identità.
Avendo constatato personalmente le deplorevoli condizioni dei palestinesi concentrati nei campi profughi del Libano meridionale, della Giordania e della Siria, come giornalista e scrittrice oggi ho la possibilità di raccontare storie sconosciute, di attribuire un volto umano alla realtà. La letteratura annovera racconti e poemi che hanno influenzato la mia predilezione per le storie di vita vissuta, ma che raramente vengono proposti con accuratezza e giusta attenzione nel flusso mediatico americano. Questo avviene per tutte quelle letterature legate a una identità in pericolo. Mi viene in mente una frase dello scrittore afro-americano Toni Morrison: “Quando tu uccidi gli antenati, uccidi te stesso”. Pertanto il problema della salvaguardia dei diritti, del riconoscimento dell’impegno femminile non è una sfida esclusivamente politica, ma anche culturale, che passa attraverso un lavoro di recupero della propria identità, della propria specificità.
(di Leila Diab, Scrittrice e giornalista palestinese-statunitense ©) (POPOLI)