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Salute: il Segreto per Combattere i Tumori? é Sepolto in Fondo al Mare
Il loro nome non è certo familiare a molti, il più delle volte poi neppure si riesce a vederli a causa delle dimensioni piuttosto ridotte (dai 0,5 ai 5 cm), eppure gli opistobranchi - così si chiamano questi molluschi dalle forme e dai colori affascinanti - si rivelano animaletti assai preziosi per l'uomo.
Il motivo? Grazie alle spiccate capacità di selezione di prodotti biologicamente attivi sono in grado di produrre sostanze utili per scopi terapeutici.
Ma vediamo meglio cosa questi graziosi gasteropodi dai nomi esotici, quali Anaspidea, Doridacea, Arminacea, sono capaci di fare.
Come dei veri e propri laboratori chimici, gli opistobranchi hanno imparato negli anni a trasformare, a scopo difensivo, le sostanze assunte per alimentarsi, giungendo in alcuni casi addirittura a ricrearle de novo.
Lo sviluppo di così raffinate capacità di sintesi è frutto dell'evoluzione: l'animale ancestrale era probabilmente dotato di una conchiglia nella quale si rinchiudeva per sfuggire agli attacchi dei pesci predatori. Una traccia dell'antico scrigno protettivo è rimasto in alcuni ordini di opistobranchi, che presentano un piccolo guscio, del tutto insufficiente a difenderli, in grado però di fornirci indizi sul loro antico aspetto.
La perdita della conchiglia ha portato nel tempo gli opistobranchi ad elaborare altre tecniche di difesa.
Alcuni di loro per tenere lontani i pesci più voraci si servono di aghetti calcarei disseminati sul mantello che, come gli aculei di un porcospino, dissuadono chiunque dall'avvicinarsi troppo.
Altri, più raffinati, ricorrono ad un meccanismo quasi illusionistico, l'autotomia. Quando si sentono in pericolo staccano una parte del corpo che continua a vibrare per parecchio tempo, distraendo l'aggressore e consentendo all'opistobranco di sottrarsi con l'inganno al nemico. E' inutile precisare che la parte persa si riforma in breve tempo. Gli esemplari più evoluti infine utilizzano per proteggersi le competenze chimiche acquisite negli anni.
Un gruppo di opistobranchi, tra questi l'Hypselodoris picta, ricorre alla bioaccumulazione: trae cioè dal cibo le sostanze tossiche che gli servono a proteggersi; accumula quindi il veleno in apposite ghiandole del tutto simili a minuscole sacche, che vengono rotte nel momento in cui si verifica un attacco dei pesci.
Un altro gruppo di molluschi adopera, come arma protettiva, la biotrasformazione, seguendo due diverse strategie. Una prima tecnica è data dal potenziamento della sostanza leggermente tossica assorbita con la dieta che viene trasformata in un veleno capace di tenere lontani gli aggressori.
Un secondo metodo consiste nel vivere in un ambiente ad alta tossicità, i cui effetti sono però deleteri solo per i predatori poiché l'opistobranco per tutelarsi detossifica la sostanza velenosa da cui è circondato.
Un terzo gruppo di opistobranchi, i più evoluti si potrebbe dire, tra i quali c'è ad esempio la Dendrodoris limbata o la Doriopsilla areolata, è infine capace di fabbricare autonomamente la sostanza tossica protettiva: il mollusco quindi non ha più alcun vincolo, può vivere dove vuole e mangiare anche alimenti non velenosi poiché conosce il composto che lo difende ed è in grado di ricostruirlo autonomamente.
Ed è appunto la capacità acquisita di sintetizzare molecole a rivelarsi, come già detto, utile per l'uomo.
Si è scoperto così che la Jorunna funebris per allontanare i predatori secerne una sostanza, la jorumicina, caratterizzata da proprietà antitumorali, la cui efficacia ha spinto un'industria farmaceutica spagnola, la PharmaMar, a brevettere il composto.
Una molecola con proprietà antitumorali, la 6-cheto-deoxoscalarina, viene prodotta anche da un altro opistobranco l'Hypselodoris orsini.
La Doris verrucosa "costruisce" invece terpeni, composti che svolgono funzioni di mediatori cellulari e che hanno ampie possibilità di utilizzo in campo farmacologico. Oltre ad essersi rivelati "laboratori in miniatura" di grande utilità per fini terapeutici, gli opistobranchi sono inoltre validi indicatori biologici, la cui presenza e il cui metabolismo segnalano variazioni dell'ecosistema, quali l'alterazione a carico di alcune specie marine.
Il motivo? Grazie alle spiccate capacità di selezione di prodotti biologicamente attivi sono in grado di produrre sostanze utili per scopi terapeutici.
Ma vediamo meglio cosa questi graziosi gasteropodi dai nomi esotici, quali Anaspidea, Doridacea, Arminacea, sono capaci di fare.
Come dei veri e propri laboratori chimici, gli opistobranchi hanno imparato negli anni a trasformare, a scopo difensivo, le sostanze assunte per alimentarsi, giungendo in alcuni casi addirittura a ricrearle de novo.
Lo sviluppo di così raffinate capacità di sintesi è frutto dell'evoluzione: l'animale ancestrale era probabilmente dotato di una conchiglia nella quale si rinchiudeva per sfuggire agli attacchi dei pesci predatori. Una traccia dell'antico scrigno protettivo è rimasto in alcuni ordini di opistobranchi, che presentano un piccolo guscio, del tutto insufficiente a difenderli, in grado però di fornirci indizi sul loro antico aspetto.
La perdita della conchiglia ha portato nel tempo gli opistobranchi ad elaborare altre tecniche di difesa.
Alcuni di loro per tenere lontani i pesci più voraci si servono di aghetti calcarei disseminati sul mantello che, come gli aculei di un porcospino, dissuadono chiunque dall'avvicinarsi troppo.
Altri, più raffinati, ricorrono ad un meccanismo quasi illusionistico, l'autotomia. Quando si sentono in pericolo staccano una parte del corpo che continua a vibrare per parecchio tempo, distraendo l'aggressore e consentendo all'opistobranco di sottrarsi con l'inganno al nemico. E' inutile precisare che la parte persa si riforma in breve tempo. Gli esemplari più evoluti infine utilizzano per proteggersi le competenze chimiche acquisite negli anni.
Un gruppo di opistobranchi, tra questi l'Hypselodoris picta, ricorre alla bioaccumulazione: trae cioè dal cibo le sostanze tossiche che gli servono a proteggersi; accumula quindi il veleno in apposite ghiandole del tutto simili a minuscole sacche, che vengono rotte nel momento in cui si verifica un attacco dei pesci.
Un altro gruppo di molluschi adopera, come arma protettiva, la biotrasformazione, seguendo due diverse strategie. Una prima tecnica è data dal potenziamento della sostanza leggermente tossica assorbita con la dieta che viene trasformata in un veleno capace di tenere lontani gli aggressori.
Un secondo metodo consiste nel vivere in un ambiente ad alta tossicità, i cui effetti sono però deleteri solo per i predatori poiché l'opistobranco per tutelarsi detossifica la sostanza velenosa da cui è circondato.
Un terzo gruppo di opistobranchi, i più evoluti si potrebbe dire, tra i quali c'è ad esempio la Dendrodoris limbata o la Doriopsilla areolata, è infine capace di fabbricare autonomamente la sostanza tossica protettiva: il mollusco quindi non ha più alcun vincolo, può vivere dove vuole e mangiare anche alimenti non velenosi poiché conosce il composto che lo difende ed è in grado di ricostruirlo autonomamente.
Ed è appunto la capacità acquisita di sintetizzare molecole a rivelarsi, come già detto, utile per l'uomo.
Si è scoperto così che la Jorunna funebris per allontanare i predatori secerne una sostanza, la jorumicina, caratterizzata da proprietà antitumorali, la cui efficacia ha spinto un'industria farmaceutica spagnola, la PharmaMar, a brevettere il composto.
Una molecola con proprietà antitumorali, la 6-cheto-deoxoscalarina, viene prodotta anche da un altro opistobranco l'Hypselodoris orsini.
La Doris verrucosa "costruisce" invece terpeni, composti che svolgono funzioni di mediatori cellulari e che hanno ampie possibilità di utilizzo in campo farmacologico. Oltre ad essersi rivelati "laboratori in miniatura" di grande utilità per fini terapeutici, gli opistobranchi sono inoltre validi indicatori biologici, la cui presenza e il cui metabolismo segnalano variazioni dell'ecosistema, quali l'alterazione a carico di alcune specie marine.