Un nuovo studio apparso su Scientific Reports suggerisce che gli elenchi di emoji che abbiamo a disposizione siano abbastanza rappresentativi della serie di emozioni che proviamo. Ma anche che ci sono dei vuoti.
Molti psicologi hanno preso le distanze dall’idea che le emozioni siano isolate e distinte. Piuttosto le considerano come un continuum, distribuito su due scale: valenza (positiva o negativa) e eccitazione. Ad esempio “tristezza” ha valenza negativa ma poca eccitazione; “rabbia” è anch’essa negativa per valenza, ma ha un’alto livello di eccitazione; “emozione” può essere positiva e molto alta per eccitazione.
Nel loro studio, Gaku Kutsuzawa e colleghi del National Institute of Advanced Industrial Science and Technology di Kashiwa, Giappone, hanno verificato se gli emoji possono essere classificati per valenza (tra piacere e dispiacere) e eccitazione (da debole a forte).
Con uno strumento statistico che isola dei raggruppamenti all’interno di dati, hanno scoperto che gli emoji possono essere divisi in sei categorie, In generale, gli emoji di ogni gruppo corrispondono parecchio alle emozioni umane che tendiamo ad avere in termini di valenza e di eccitazione.
Questo risultato non è sorprendente: gli emoji sono stati creati per comunicare stati d’animo, ha quindi senso che siano bene in corrispondenza con essi. Ma il dato interessante è che non rappresentano TUTTE le emozioni. In particolare, quelle mancanti sono neutrali per valenza ma alte in eccitazione, come ad esempio “in tensione” e “allarmato”.