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Pesticidi: Causano Infertilita' e Leucemia
Due altre ricerche (una Usa, l'altra francese) sollevano nuovi dubbi su un danno alla fertilità maschile e su un possibile effetto cancerogeno dei fitofarmaci di sintesi.
Per l’industria chimica sono fitofarmaci, termine che allude al beneficio di un medicamento, per gli strenui oppositori della mela bella ma stregata dalla chimica, si chiamano, con un’evidente connotazione dispregiativa, pesticidi. Ma al di là delle dispute ideologiche, è ormai diffusa fra la gente e nella comunità scientifica — ne sono consapevoli perfino le industrie — che l’impiego di insetticidi e di diserbanti in agricoltura costituisce un rischio importante per l’uomo e per l’ambiente.
Alla luce di una gran mole di ricerche, che si sono accumulate in questi ultimi anni. Le ultime due, recentissime, pubblicate l’una sulla rivista Epidemiology, l’altra su Occupational and Enviromental Medicine, aggiungono un ulteriore tassello, sollevando dubbi su un danno alla fertilità maschile e su un possibile effetto cancerogeno.
Il primo studio, americano, dell’Università di Harvard e dai Centers for Disease Control di Atlanta, ha ricercato nelle urine di 268 partner di donne in cura per la sterilità in una clinica del Massachusetts un prodotto di degradazione di un insetticida organofosforico, il clorpirifos. Scoprendo che negli uomini con i livelli più alti della sostanza è presente anche un calo del testosterone del 10%. Il secondo lavoro, realizzato in Francia dall’Inserm, mettendo a confronto 280 bambini colpiti da leucemia con altrettanti coetanei sani, ha scoperto che nella loro storia familiare c’era un’unica differenza. Le mamme dei bimbi malati avevano fatto uso di insetticidi e fungidici, soprattutto carbamati, per le piante del proprio giardino durante la gravidanza e nei primi mesi di vita del figlio. La materia resta sfuggente, i dubbi angosciosi, ma le prove di una responsabilità precisa scarseggiano.
«È senz’altro vero — commenta Marco Maroni, professore di Medicina del lavoro dell’Università di Milano e direttore del centro internazionale di ricerca sugli antiparassitari —. Il clorpirifos, comunque, è un antiparassitario molto discusso, sotto osservazione da tempo: usato per ortaggi, piante da frutto, ornamentali e da giardino fin dagli anni Settanta è uno dei pochi sopravvissuti alla moria degli insetticidi organofosforici (sia negli Stati Uniti che in Europa c’è stata la tendenza ad eliminarli). Questa ricerca, come altre in precedenza, non dimostra un effetto diretto, né eclatante: un calo del 10% da un punto di vista statistico è significativo, ma sotto il profilo biologico può anche essere irrilevante. Ma è, comunque, di estremo interesse. A questo punto, bisogna verificare se un calo del 10% di testosterone si associa ad una riduzione della fertilità. Poi, chiedersi come vivono e che cosa fanno questi uomini che hanno accumulato nel loro organismo più clorpirifos degli altri. Trattandosi di gente comune e non di lavoratori dell’agricoltura, scoprire quale tipo e livello di esposizione hanno subito, diventa importante per tutti noi. Stesso ragionamento per la seconda ricerca: indizi importanti su cui lavorare, anche perché sembra essere in gioco un uso domestico e ci sono pochissime ricerche in questo ambito».
I pesticidi sono guardati con sempre maggiore diffidenza, ma quanti ne sono stati ritirati?
«Tanti — risponde Maroni —. La prima scure sugli antiparassitari è scesa negli anni Ottanta quando si è scoperto che alcuni erano persistenti nell’ambiente o tossici. Dagli anni Novanta in poi è stata avviata una revisione di tutti i composti già in commercio alla luce di una normativa europea stringente che impone alle aziende di presentare un dossier aggiornato. In certi casi, le ditte hanno ritirato spontaneamente il preparato; in altri, sono state costrette a farlo. In conclusione per gli insetticidi la moria è stata del 30%; meno marcata per i fungicidi e gli erbicidi, ma ci sono state vittime illustri, l’atrazina, ad esempio. Al tempo stesso sono comparse sul mercato sostanze, attive anche a dosi piccole, quindi meno nocive. Purtroppo, mancano studi finanziati da istituzioni pubbliche, dai governi o dall’Unione Europea sugli effetti nocivi di questi prodotti sugli utilizzatori». Corriere salute
Per l’industria chimica sono fitofarmaci, termine che allude al beneficio di un medicamento, per gli strenui oppositori della mela bella ma stregata dalla chimica, si chiamano, con un’evidente connotazione dispregiativa, pesticidi. Ma al di là delle dispute ideologiche, è ormai diffusa fra la gente e nella comunità scientifica — ne sono consapevoli perfino le industrie — che l’impiego di insetticidi e di diserbanti in agricoltura costituisce un rischio importante per l’uomo e per l’ambiente.
Alla luce di una gran mole di ricerche, che si sono accumulate in questi ultimi anni. Le ultime due, recentissime, pubblicate l’una sulla rivista Epidemiology, l’altra su Occupational and Enviromental Medicine, aggiungono un ulteriore tassello, sollevando dubbi su un danno alla fertilità maschile e su un possibile effetto cancerogeno.
Il primo studio, americano, dell’Università di Harvard e dai Centers for Disease Control di Atlanta, ha ricercato nelle urine di 268 partner di donne in cura per la sterilità in una clinica del Massachusetts un prodotto di degradazione di un insetticida organofosforico, il clorpirifos. Scoprendo che negli uomini con i livelli più alti della sostanza è presente anche un calo del testosterone del 10%. Il secondo lavoro, realizzato in Francia dall’Inserm, mettendo a confronto 280 bambini colpiti da leucemia con altrettanti coetanei sani, ha scoperto che nella loro storia familiare c’era un’unica differenza. Le mamme dei bimbi malati avevano fatto uso di insetticidi e fungidici, soprattutto carbamati, per le piante del proprio giardino durante la gravidanza e nei primi mesi di vita del figlio. La materia resta sfuggente, i dubbi angosciosi, ma le prove di una responsabilità precisa scarseggiano.
«È senz’altro vero — commenta Marco Maroni, professore di Medicina del lavoro dell’Università di Milano e direttore del centro internazionale di ricerca sugli antiparassitari —. Il clorpirifos, comunque, è un antiparassitario molto discusso, sotto osservazione da tempo: usato per ortaggi, piante da frutto, ornamentali e da giardino fin dagli anni Settanta è uno dei pochi sopravvissuti alla moria degli insetticidi organofosforici (sia negli Stati Uniti che in Europa c’è stata la tendenza ad eliminarli). Questa ricerca, come altre in precedenza, non dimostra un effetto diretto, né eclatante: un calo del 10% da un punto di vista statistico è significativo, ma sotto il profilo biologico può anche essere irrilevante. Ma è, comunque, di estremo interesse. A questo punto, bisogna verificare se un calo del 10% di testosterone si associa ad una riduzione della fertilità. Poi, chiedersi come vivono e che cosa fanno questi uomini che hanno accumulato nel loro organismo più clorpirifos degli altri. Trattandosi di gente comune e non di lavoratori dell’agricoltura, scoprire quale tipo e livello di esposizione hanno subito, diventa importante per tutti noi. Stesso ragionamento per la seconda ricerca: indizi importanti su cui lavorare, anche perché sembra essere in gioco un uso domestico e ci sono pochissime ricerche in questo ambito».
I pesticidi sono guardati con sempre maggiore diffidenza, ma quanti ne sono stati ritirati?
«Tanti — risponde Maroni —. La prima scure sugli antiparassitari è scesa negli anni Ottanta quando si è scoperto che alcuni erano persistenti nell’ambiente o tossici. Dagli anni Novanta in poi è stata avviata una revisione di tutti i composti già in commercio alla luce di una normativa europea stringente che impone alle aziende di presentare un dossier aggiornato. In certi casi, le ditte hanno ritirato spontaneamente il preparato; in altri, sono state costrette a farlo. In conclusione per gli insetticidi la moria è stata del 30%; meno marcata per i fungicidi e gli erbicidi, ma ci sono state vittime illustri, l’atrazina, ad esempio. Al tempo stesso sono comparse sul mercato sostanze, attive anche a dosi piccole, quindi meno nocive. Purtroppo, mancano studi finanziati da istituzioni pubbliche, dai governi o dall’Unione Europea sugli effetti nocivi di questi prodotti sugli utilizzatori». Corriere salute