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India e Media Cattolici: Tempi Difficili tra Fondamentalisti e Secolarizzazione
La più grande democrazia del pianeta con oltre un miliardo di abitanti ha un’informazione libera e pluralistica. Contrariamente ad altri Paesi in via di sviluppo, l’India gode di un alto grado di libertà d’espressione e di un’informazione libera dal controllo governativo. Non è raro che sui giornali appaiano articoli critici nei confronti del governo, soprattutto su mezzi d’informazione a livello nazionale. D’altro canto, ci sono occasioni in cui potenti gruppi economici, politici intraprendenti e partiti usano i media per i propri interessi. Questo, a volte, porta a distorcere la verità e, non sono casi rari, alle dimissioni o al licenziamento di giornalisti non in linea con le direttive della proprietà.
Un’altra forza di pressione che sta dietro ai media è la burocrazia, che cerca di controllare i gruppi informativi minori negando loro inserzioni pubblicitarie commissionate dalla pubblica amministrazione o altri benefici. In aree problematiche, come il Kashmir o le regioni del nord-est, i mass media devono anche subire le pressioni dell’esercito, che non vuole rendere note le proprie operazioni. Ciononostante, si deve considerare anzitutto che in India non sono in vigore leggi repressive che possano impedire agli operatori dell’informazione di divulgare le mancanze del governo o la corruzione negli affari pubblici. È già successo che ministri e leader di partiti politici siano stati costretti alle dimissioni dall’azione dei media. Comunque, gli anni recenti hanno visto una forte erosione dei valori nel mondo dell’informazione. Molti giornalisti si sono trasformati in agenti della propaganda di partiti politici o gruppi economici. Non meraviglia che il numero degli operatori dell’informazione arruolati tra i dirigenti di partiti e movimenti stia crescendo. Una dozzina di ex giornalisti siedono ora in Parlamento. In sintesi, molti giornalisti entrano volentieri in politica e, in cambio, sacrificano l’obiettività quando devono scrivere dei loro protettori. Storicamente l’informazione in India ha giocato un ruolo-chiave nella lotta per l’indipendenza guidata dal Mahatma Gandhi contro la dominazione britannica. Anche successivamente all’indipendenza nel 1947, i mezzi d’informazione hanno continuato a farsi promotori delle cause sociali e pubbliche. Tuttavia, gli interessi dei gruppi economici che controllano parte dei mass media hanno portato molti a concentrarsi sulle strategie di marketing. Ne risulta che le questioni sociali non ottengono più molta attenzione, mentre le notizie di moda e i concorsi di bellezza hanno uno spazio proporzionalmente enorme e non solo nelle metropoli, ma perfino nei piccoli centri. Un nuovo e preoccupante sviluppo degli ultimi anni è stata l’infiltrazione strisciante dei media da parte dei gruppi nazionalisti. Con la presa di potere del Bharatiya Janata Party a livello nazionale, si è creato un gruppo di giornalisti amici del partito che hanno facile accesso a benefici e privilegi governativi. Secondo osservatori neutrali, decine di giornalisti sono oggi sul libro paga dei gruppi hindu fondamentalisti, affinché pubblichino servizi loro favorevoli o sostengano l’ideale del nazionalismo religioso attraverso i propri contatti. Questo gruppo è alla base dell’ondata di attacchi a mezzo stampa che i gruppi religiosi minoritari, come i cristiani e i musulmani, hanno subito dall’avvento sulla scena politica del Bjp negli anni ’90. Quando il Papa ha visitato per la seconda volta l’India nel novembre 1999, tutti i quotidiani misero l’evento in prima pagina, salvo il Times of India, il maggiore quotidiano di lingua inglese con oltre un milione di copie vendute, che vi dedicò scarso spazio, nelle pagine interne. A colpire ancor più è la premeditata volontà di non informare. Prima della visita di Giovanni Paolo II, infatti, la direzione del Times of India aveva inviato un messaggio riservato a tutti i direttori delle varie edizioni regionali con l’ordine di non concedere spazio al Papa: un chiaro esempio di come uno dei maggiori gruppi mediatici sia diventato complice dei nazionalisti hindu. In India, dove i cristiani sono soltanto il 2 per cento della popolazione, c’è un’alta proporzione di giornalisti di fede cristiana. Se si escludono alcune aree (come il Kerala, al sud) essi non sono comunque in grado di sostenere efficacemente sui loro giornali la causa dei cristiani discriminati per timore di essere considerati dai colleghi hindu “attivisti cristiani”. Come risultato, molti di loro sono costretti a tenere un basso profilo su questioni riguardanti la propria comunità religiosa e spesso chiedono a colleghi non cristiani di scrivere su argomenti particolarmente sensibili. In questa situazione i mass media cristiani restano alla periferia del mondo mediatico. La maggior parte delle pubblicazioni cristiane sono conosciute soltanto a livello diocesano o parrocchiale e si occupano più che altro di questioni di interesse locale. Purtroppo, l’aumento tre anni fa delle tariffe postali per la stampa “a contenuto non politico” (per decenni il loro basso costo era stato il monumento a un’India “laica” per dettato costituzionale) sta ora minacciando l’esistenza stessa di molte piccole testate. Dei 26 giornali cristiani che hanno chiesto il rinnovo dei benefici postali nel Kerala (Stato che conta 6 milioni di cristiani su 33 milioni di abitanti) a 7 soltanto è stato concesso, mentre per la rivista Organizer, portavoce degli hindu fondamentalisti il problema nemmeno si è posto. Per le altre pubblicazioni cristiane che parlano di giustizia per gli oppressi e compassione per i bisognosi, l’esistenza è diventata assai precaria. In questo condizioni in via di peggioramento, per i mezzi d’informazione ecclesiali e cristiani è sempre più difficile mantenere integrità professionale e originalità di contenuto. (di Anto Akkara ©)
Un’altra forza di pressione che sta dietro ai media è la burocrazia, che cerca di controllare i gruppi informativi minori negando loro inserzioni pubblicitarie commissionate dalla pubblica amministrazione o altri benefici. In aree problematiche, come il Kashmir o le regioni del nord-est, i mass media devono anche subire le pressioni dell’esercito, che non vuole rendere note le proprie operazioni. Ciononostante, si deve considerare anzitutto che in India non sono in vigore leggi repressive che possano impedire agli operatori dell’informazione di divulgare le mancanze del governo o la corruzione negli affari pubblici. È già successo che ministri e leader di partiti politici siano stati costretti alle dimissioni dall’azione dei media. Comunque, gli anni recenti hanno visto una forte erosione dei valori nel mondo dell’informazione. Molti giornalisti si sono trasformati in agenti della propaganda di partiti politici o gruppi economici. Non meraviglia che il numero degli operatori dell’informazione arruolati tra i dirigenti di partiti e movimenti stia crescendo. Una dozzina di ex giornalisti siedono ora in Parlamento. In sintesi, molti giornalisti entrano volentieri in politica e, in cambio, sacrificano l’obiettività quando devono scrivere dei loro protettori. Storicamente l’informazione in India ha giocato un ruolo-chiave nella lotta per l’indipendenza guidata dal Mahatma Gandhi contro la dominazione britannica. Anche successivamente all’indipendenza nel 1947, i mezzi d’informazione hanno continuato a farsi promotori delle cause sociali e pubbliche. Tuttavia, gli interessi dei gruppi economici che controllano parte dei mass media hanno portato molti a concentrarsi sulle strategie di marketing. Ne risulta che le questioni sociali non ottengono più molta attenzione, mentre le notizie di moda e i concorsi di bellezza hanno uno spazio proporzionalmente enorme e non solo nelle metropoli, ma perfino nei piccoli centri. Un nuovo e preoccupante sviluppo degli ultimi anni è stata l’infiltrazione strisciante dei media da parte dei gruppi nazionalisti. Con la presa di potere del Bharatiya Janata Party a livello nazionale, si è creato un gruppo di giornalisti amici del partito che hanno facile accesso a benefici e privilegi governativi. Secondo osservatori neutrali, decine di giornalisti sono oggi sul libro paga dei gruppi hindu fondamentalisti, affinché pubblichino servizi loro favorevoli o sostengano l’ideale del nazionalismo religioso attraverso i propri contatti. Questo gruppo è alla base dell’ondata di attacchi a mezzo stampa che i gruppi religiosi minoritari, come i cristiani e i musulmani, hanno subito dall’avvento sulla scena politica del Bjp negli anni ’90. Quando il Papa ha visitato per la seconda volta l’India nel novembre 1999, tutti i quotidiani misero l’evento in prima pagina, salvo il Times of India, il maggiore quotidiano di lingua inglese con oltre un milione di copie vendute, che vi dedicò scarso spazio, nelle pagine interne. A colpire ancor più è la premeditata volontà di non informare. Prima della visita di Giovanni Paolo II, infatti, la direzione del Times of India aveva inviato un messaggio riservato a tutti i direttori delle varie edizioni regionali con l’ordine di non concedere spazio al Papa: un chiaro esempio di come uno dei maggiori gruppi mediatici sia diventato complice dei nazionalisti hindu. In India, dove i cristiani sono soltanto il 2 per cento della popolazione, c’è un’alta proporzione di giornalisti di fede cristiana. Se si escludono alcune aree (come il Kerala, al sud) essi non sono comunque in grado di sostenere efficacemente sui loro giornali la causa dei cristiani discriminati per timore di essere considerati dai colleghi hindu “attivisti cristiani”. Come risultato, molti di loro sono costretti a tenere un basso profilo su questioni riguardanti la propria comunità religiosa e spesso chiedono a colleghi non cristiani di scrivere su argomenti particolarmente sensibili. In questa situazione i mass media cristiani restano alla periferia del mondo mediatico. La maggior parte delle pubblicazioni cristiane sono conosciute soltanto a livello diocesano o parrocchiale e si occupano più che altro di questioni di interesse locale. Purtroppo, l’aumento tre anni fa delle tariffe postali per la stampa “a contenuto non politico” (per decenni il loro basso costo era stato il monumento a un’India “laica” per dettato costituzionale) sta ora minacciando l’esistenza stessa di molte piccole testate. Dei 26 giornali cristiani che hanno chiesto il rinnovo dei benefici postali nel Kerala (Stato che conta 6 milioni di cristiani su 33 milioni di abitanti) a 7 soltanto è stato concesso, mentre per la rivista Organizer, portavoce degli hindu fondamentalisti il problema nemmeno si è posto. Per le altre pubblicazioni cristiane che parlano di giustizia per gli oppressi e compassione per i bisognosi, l’esistenza è diventata assai precaria. In questo condizioni in via di peggioramento, per i mezzi d’informazione ecclesiali e cristiani è sempre più difficile mantenere integrità professionale e originalità di contenuto. (di Anto Akkara ©)