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Il Biologico Batte il Convenzionale Anche dal Punto di Vista Economico
Se finora, i vantaggi riconosciuti all’agricoltura biologica erano ”solo” per qualità, sicurezza e sostenibilità, adesso anche l’aspetto economico si rivela competitivo con quello dei metodi convenzionali. Uno studio dell’American Institute of Biological Sciences ha dimostrato che, anche nel bilancio di una singola azienda, i rendimenti di alcune coltivazioni biologiche competono, sul lungo periodo, con quelli delle coltivazioni convenzionali. Il confronto è avvenuto tra la produzione di terreni coltivati con tecniche bio e un sistema convenzionale che il Rodale Institute Farming System mantiene da 22 stagioni produttive; ne è emerso che le rese di soia e mais biologici risultate inferiori nei primi 4 anni, sono poi aumentate progressivamente, superando quelle ottenute con metodo convenzionale nei periodi di siccità e chiudendo i conti in pareggio. “Conti” che divengono investimenti se si considerano, oltre ai vantaggi citati in apertura, quel 30% di energia in meno utilizzata per la stessa resa, la minore erosione e la migliore qualità del suolo garantite dal biologico.
Una buona notizia, questa, che rende ancora più amaro il dato emerso da un’analisi della Coldiretti svolta in occasione del Salone internazionale dell’alimentazione, salute ed ambiente (Sana) tenutosi a Bologna: “dal 2000 ad oggi è triplicato il numero di importatori di prodotti di biologici dall'estero ed è raddoppiato il numero di trasformatori mentre si è verificato un drastico crollo del 28% nel numero di imprese
agricole italiane impegnate nelle coltivazioni biologiche. Di fronte al duro crollo delle imprese nazionali di produzione che hanno raggiunto il livello minimo dal 2000 ad oggi con meno di 37mila unità è evidente la necessità di interventi per impedire che venga "spacciato" come nazionale un prodotto estero ed è per questo necessario - sostiene la Coldiretti - rendere operativo il marchio del biologico italiano per
colmare il ritardo del nostro Paese nei confronti di Francia, Germania, Austria, Belgio, Svizzera, Olanda, Svezia e Danimarca che hanno da tempo fatto questa scelta.” Oltre al problema di una controproducente inversione di tendenza, l’esigenza di un provvedimento si fa concreta in relazione al crescente arrivo di prodotti che, in assenza di un’adeguata etichettatura di origine, sono destinati a confondersi con le tipicità nostrane. Un modo e un motivo in più per difendere il terzo posto conquistato dall'Italia nella classifica mondiale della produzione biologica, dietro solo alle enormi disponibilità di terreni di Australia e Argentina, considerando anche che siamo tuttora leader assoluti nell'Europa allargata con oltre un quinto della superficie coltivata e un terzo delle imprese. A livello regionale - secondo l'analisi della Coldiretti - è la Sicilia, con 6.389 aziende agricole a detenere il primato nel biologico, seguita dalla Calabria (4.078 aziende), dall'Emilia-Romagna (3.378 aziende), dalla Puglia (3.065 aziende) e dal Lazio (2.543 aziende). Un aspetto rilevante - conclude la Coldiretti - è legato alla
presenza in azienda di animali allevati con metodo biologico per i quali nel 2004, rispetto al 2003, si è registrato un incremento in tutte le specie, dalle mucche ai maiali, tranne che per i caprini e le api (arnie in calo da 76.607 a 67.713) mentre particolarmente sensibile l'aumento dei polli passati da 1.287.131 a 2.152.295 unità.
Una buona notizia, questa, che rende ancora più amaro il dato emerso da un’analisi della Coldiretti svolta in occasione del Salone internazionale dell’alimentazione, salute ed ambiente (Sana) tenutosi a Bologna: “dal 2000 ad oggi è triplicato il numero di importatori di prodotti di biologici dall'estero ed è raddoppiato il numero di trasformatori mentre si è verificato un drastico crollo del 28% nel numero di imprese
agricole italiane impegnate nelle coltivazioni biologiche. Di fronte al duro crollo delle imprese nazionali di produzione che hanno raggiunto il livello minimo dal 2000 ad oggi con meno di 37mila unità è evidente la necessità di interventi per impedire che venga "spacciato" come nazionale un prodotto estero ed è per questo necessario - sostiene la Coldiretti - rendere operativo il marchio del biologico italiano per
colmare il ritardo del nostro Paese nei confronti di Francia, Germania, Austria, Belgio, Svizzera, Olanda, Svezia e Danimarca che hanno da tempo fatto questa scelta.” Oltre al problema di una controproducente inversione di tendenza, l’esigenza di un provvedimento si fa concreta in relazione al crescente arrivo di prodotti che, in assenza di un’adeguata etichettatura di origine, sono destinati a confondersi con le tipicità nostrane. Un modo e un motivo in più per difendere il terzo posto conquistato dall'Italia nella classifica mondiale della produzione biologica, dietro solo alle enormi disponibilità di terreni di Australia e Argentina, considerando anche che siamo tuttora leader assoluti nell'Europa allargata con oltre un quinto della superficie coltivata e un terzo delle imprese. A livello regionale - secondo l'analisi della Coldiretti - è la Sicilia, con 6.389 aziende agricole a detenere il primato nel biologico, seguita dalla Calabria (4.078 aziende), dall'Emilia-Romagna (3.378 aziende), dalla Puglia (3.065 aziende) e dal Lazio (2.543 aziende). Un aspetto rilevante - conclude la Coldiretti - è legato alla
presenza in azienda di animali allevati con metodo biologico per i quali nel 2004, rispetto al 2003, si è registrato un incremento in tutte le specie, dalle mucche ai maiali, tranne che per i caprini e le api (arnie in calo da 76.607 a 67.713) mentre particolarmente sensibile l'aumento dei polli passati da 1.287.131 a 2.152.295 unità.