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Guatemala, Militari Condannati per Strage Indigeni: è Sentenza Storica
“È una sentenza che ha enorme valore, soprattutto perché in Guatemala quando in episodi del genere sono coinvolti militari o politici la loro responsabilità viene sempre messa a tacere”: così Nery Rodenas, direttore dell’Ufficio per i diritti umani dell’arcivescovado di Città del Guatemala (Odhag), spiega alla MISNA il significato di un verdetto ‘storico’ con cui la giustizia guatemalteca ha condannato a 40 anni di carcere un tenente e 13 soldati dell’esercito per la strage di 11 indios, tra cui due bambini, perpetrata nella comunità di ‘Aurora 8 de Octubre’ a Xamán (dipartimento settentrionale di Alta Verapaz) nel 1995. “Credo che sia una delle poche volte, o forse l’unica, in cui i militari sono riconosciuti colpevoli per gli abusi contro le comunità indigene durante la guerra civile” prosegue Rodenas, riferendosi al lungo conflitto interno che dal 1960 al 1996 ha insanguinato il Guatemala. “È la dimostrazione che anche in questo Paese la magistratura può fare il proprio lavoro, quando esiste la volontà politica” aggiunge il direttore dell’Odhag, organismo fondato da monsignor Juan José Gerardi Conedera, barbaramente ucciso il 26 aprile del 1998. “Ma non so se sarà un primo passo verso la fine dell’impunità” conclude Rodenas, che aggiunge: “Di certo, se così fosse, dobbiamo attenderci un processo molto lungo in cui giocheranno diversi fattori, dall’impegno dei giudici a quello di ogni singolo elemento della società guatemalteca. Naturalmente il fattore politico, resta una variabile fondamentale”. È per il reato di ‘esecuzione extra-giudiziale’ che il tenente Camilo Antonio Lacán Chaclán e gli uomini che formavano il suo plotone sono stati condannati dal tribunale di San Pedro Charchá. Nello stesso pronunciamento la corte ha stabilito che d’ora in poi nessun tribunale militare potrà giudicare crimini commessi contro la popolazione civile. Il 5 ottobre 1995, 14 mesi prima che la guerra finisse, una pattuglia di 25 soldati comandata dal tenente Lacán Chaclán fece irruzione a Xamán - dove si erano radunati diversi indigeni riparati per 15 anni in Messico durante uno dei periodi più feroci del conflitto – e uccisero indiscriminatamente uomini, donne e bambini. I soldati erano già stati condannati in prima istanza ma nel 1999 la Corte di appello di Cobán ne aveva prosciolti 15, tra cui il tenente, perché non era stato possibile “provare che le loro armi avessero effettivamente sparato”. Il verdetto che oggi ribalta la situazione, ma a cui la difesa si appellerà una volta pubblicato il testo integrale della sentenza, è stato accolto con soddisfazione dalla Premio Nobel per la pace Rigoberta Menchú, che in passato aveva già portato il caso di Xamán di fronte alla Corte Interamericana per i Diritti Umani. “Sono felice di questa sentenza esemplare e mi auguro che sia finalmente terminato il lungo capitolo dei massacri, della codardia di persone armate contro gente inerme” ha detto la dirigente indigena maya. “Allo stesso tempo mi rattrista vedere che ci sono voluti quasi dieci anni, segnati da una vera e propria guerra psicologica contro i familiari delle vittime, la comunità indigena di Xamán e la Fondazione Rigoberta Menchú Tum”. Negli anni, episodi di violenza e atti intimidatori sono stati all’ordine del giorno sia per gli operatori della Fondazione sia per gli attivisti impegnati a tutela dei diritti umani nel Paese centroamericano. Il 29 aprile del 2002, nel corso di quella che apparentemente sembrò una rapina, venne assassinato con 25 colpi di pistola Guillermo Ovalle de Leòn, 30 anni, impiegato della Fondazione Rigoberta Menchú Tum. Alla stessa ora della morte di Ovalle, la Fondazione aveva ricevuto una telefonata anonima in cui si ascoltavano solo le note di una marcia funebre. L’omicidio giunse alla vigilia della riapertura del processo per la strage di Xamán. (a cura di Francesca Belloni)