mar, 27 maggio 2025

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Ecuador, Dirigente Indigena: “no a Invasione Multinazionali Petrolio, per Noi non è Sviluppo”

I popoli indigeni di Sarajacu, provincia di Pastraza, nell'Amazzonia ecuadoriana, hanno annunciato ieri al governo del presidente Noboa e alla comunità internazionale che non permetteranno l'invasione delle loro terre da parte dell'impresa petrolifera Cgc (Compañía geo fiscal). La dirigente Cristina Gualinga Cuji, rappresentante dell'associazione delle donne indigene di Sarajacu (che fa parte della Conaie-Confederazione delle nazionalità indigene dell'Ecuador) ha dichiarato che "la compagnia Cgc ha firmato un contratto con il governo per l'esplorazione e lo sfruttamento del petrolio nei nostri territori senza consultarci né informarci preventivamente. Non abbiamo bisogno di distruggere la nostra selva per vivere, non vogliamo impoverirci. Abbiamo la ricchezza della nostra terra, i suoi prodotti e un ambiente sano; non vogliamo diventare schiavi delle multinazionali", ha sottolineato la dirigente indigena.
Il popolo Kichua di Sarayacu chiede che la Cgc rinunci alle proprie pretese e che il governo riconosca il diritto degli indios a gestire le risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili del proprio territorio. Durante una conferenza stampa Cristina Gualinga, 60 anni, dei quali gli ultimi 30 anni dedicati alla lotta per la difesa dell'Amazzonia, ha sottolineato che "in questo momento il governo sta negoziando qualcosa che non ha il diritto di cedere, cioè la concessione di diritti di prospezione ed estrazione del petrolio nella parte meridionale dell'Amazzonia ecuadoriana. Questa è una grave minaccia per il nostro futuro. L’esecutivo sta trattando senza neppure consultare le comunità indigene, dunque in violazione alle stesse leggi dell'Ecuador. Ci dicono che è lo sviluppo, ma questo sviluppo non è per noi. Per noi è solo impoverimento. A che ci serve? Distruggono la terra, inquinano i fiumi, non avremo più acqua pulita né una vita degna per gli abitanti della foresta". Quando parla di attentati alla "madre terra", la foresta amazzonica in cui vive la sua gente, Gualingalo fa con cognizione di causa.
“Sono cose che ho visto con i miei occhi – ha spiegato – poiché ricordo l'arrivo della Shell nel 1946. E' stato un trauma. Donne che andavano a coltivare i loro campi venivano violentate. Una tragedia che non ebbe mai giustizia, perché erano solo indigene e nessuno si curò di sapere cosa stesse succedendo. Le comunità indigene non poterono far altro che ritirarsi in zone più isolate della foresta". “Nel 1976 – ha proseguito l’attivista indigena - è successo qualcosa di simile. La Western aveva cominciato lavori di esplorazione in una zona sismica, un'area di foresta vergine. Gli uomini venivano occupati come ‘macheteros’, perché aprire la strada nella foresta è un lavoro duro. L'effetto è stato dirompente sulle comunità indigene. Gli uomini pensavano che il lavoro sarebbe durato, si mettevano con donne venute da fuori, spendevano subito tutti i soldi che prendevano. Ci furono molti divorzi, donne abbandonate, madri sole, una comunità distrutta. Le compagnie – ha aggiunto la dirigente indigena - arrivano e comprano la coscienza delle persone, creano conflitti tra le stesse comunità. Per questo dico che questo non è sviluppo ma semmai impoverimento, perdita di cultura e dignità. Oltretutto, finito di aprire la selva e impiantare i pozzi, gli uomini restavano senza lavoro. E' stato un grande inganno, una bugia, una corruzione".
Il legame con la madre terra pachamama, fra l’altro, è davvero una questione vitale per i popoli della foresta. "L'attività petrolifera – ha osservato Gualinga - distrugge ciò che consideriamo più sacro: le lagune, le montagne dove abitano gli spiriti che noi crediamo abbiano dato vita al nostro popolo. Restano solo contaminazione, rifiuti tossici, plastica. Finora le grandi operazioni sono state nel nord, dove ormai la distruzione è impressionante. Io vengo dalla provincia di Pastaza, che invece è nel sud, dove lavora l'Agip. E anche lì si stanno facendo cose terribili. I rifiuti tossici e quelli organici vengono scaricati direttamente nei fiumi. Al governo e alle commissioni sull'impatto ambientale dicono che stanno usando tecnologie d’avanguardia ma non è vero. Le comunità là sono costrette ad andarsene perché l'acqua è contaminata e nei fiumi non ci sono più i pesci di cui si cibavano. L'oleodotto taglia la foresta ed è protetto da barriere elettriche che dividono in due il territorio. I cartelli avvertono del pericolo ma il bestiame non sa leggere e spesso va a morire contro i fili elettrici. E poi la foresta è militarizzata e per noi la libertà è limitata. Ora il nuovo oleodotto chiamato Ocp sta tagliando il paese da est a ovest, passando ai piedi di sei vulcani e attraversando il parco nazionale Yasuni: sarà un disastro ancora più grande. La gente di città forse ha interesse a tutto questo, vuole lo 'sviluppo'. Ma per noi il petrolio non è nulla di tutto questo: è solo impoverimento. Nasciamo liberi, viviamo felici, lotteremo come leoni e non finiremo schiavi" ha concluso la dirigente indigena. (a cura di Cristiano Morsolin)

Scheda dettagli:

Data: 10 ottobre 2001
Fonte/Casa Editrice: Misna
Categoria:
Sottocategoria:
Parchi e aree protette

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