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Drammatica Testimonianza dall’Inferno di Ramallah
Drammatica testimonianza di un gruppo di volontari italiani dal Medio Oriente. Si tratta di alcuni giovani dell’Associazione Papa Giovanni XXIII che hanno scelto di andare nella regione, "confidando – come loro stessi precisano - che la nostra voce possa fare da tramite tra la voce di tante persone che rimangono qui a continuare il loro lavoro quotidiano di Testimonianza, e chi sta lì a subire gli effetti dell'ulteriore imposizione di un modello di sviluppo scellerato, di cui la guerra, ogni guerra, non e' che un corollario inscindibile".
I fatti descritti si riferiscono all’ultimo fine settimana. "Oggi siamo a Ramallah sotto le bombe degli F16. Ieri sera eravamo a Gerusalemme, dove si è fatto saltare in aria il kamikaze. Vorremmo riuscire a comunicarvi ciò che stiamo provando. È difficile. Il rumore delle bombe è uguale, ‘di là’ e ‘di qua’.
"Proviamo a raccontare. Ieri sera abbiamo sentito lo scoppio, nel quartiere ultraortodosso di Mea Sharim. È la fine dello Shabbat. Le famiglie passeggiano numerose per le strade attorcigliate sulla collina. Spingono i passeggini sulle salite, i bimbi si alternano dalle braccia dei padri a quelle più esili delle madri. Quelli più grandi camminano al fianco dei genitori. Noi siamo qui, non per curiosità ma per tentare di capire. La gente sbigottita, attonita. I più giovani sono arrabbiati. ‘Ci stanno ammazzando!’, ci urlano. Si parla di 5, 8, 9 morti, tra cui dei bambini. Una macchina, un uomo- bomba, non si capisce niente. Torniamo a casa. Abitiamo nel quartiere musulmano, a Gerusalemme Est, ai confini della città vecchia. Siamo un po' scioccati, incontriamo Saed, il palestinese che ci ospita, e gli raccontiamo. Sono morti dei bambini, diciamo e lui ci risponde che sì, è vero, ma ogni giorno muoiono dei bambini, dei bambini palestinesi e noi non ne parliamo, la nostra stampa occidentale non ne parla, poi quando c'è un attentato contro gli israeliani, tutto il mondo si indigna e i palestinesi diventano tutti terroristi.
Questa mattina, arrivati al check-point di Qalandia, al confine con i Territori Occupati, non ci fanno entrare, neanche con il passaporto europeo. Non passa neppure la stampa. Un amico palestinese ci indica una via alternativa per evitare i militari. Arrivati alla periferia di Ramallah sentiamo le raffiche. Ci copriamo la testa e per la prima volta abbiamo davvero paura. Riusciamo a raggiungere il centro della città, dove ci aspetta Issa Samandar, coordinatore del ‘Land Defense Committee’ (Ldc), un gruppo di volontari che si oppone alla distruzione delle case palestinesi effettuata sistematicamente dai bulldozer israeliani, fornisce assistenza legale alle vittime, monitora gli insediamenti dei coloni. L'associazione lavora in tandem con l'associazione israeliana "Israeli Committee Against House Demolition" (Icahd)".
"Ramallah è sotto i bombardamenti degli F16 israeliani. Siamo allibiti nel vedere come la gente, seppure la tensione sia fortissima, continui comunque le proprie attività quotidiane. Per loro da 16 mesi tutto questo è la normalità. Andiamo con Issa nel suo ufficio che ci dicono sia un posto sicuro. Durante il tragitto ci racconta che per arrivare da noi, i coloni e i militari gli hanno sparato sulla macchina due volte. Ci sentiamo più protetti anche se gli scoppi delle bombe sono molto vicini. Parliamo un po' e lui ci mostra una mappa della Palestina, ci mostra dove sono ubicati i check-point e l'espansione degli insediamenti. Dopo gli accordi di Oslo, le colonie sono cresciute in modo esponenziale. Comprare una casa costa un sesto rispetto alle città israeliane. I check-point sono distribuiti strategicamente e per andare da un villaggio a un altro che dista mezz'ora a piedi bisogna fare un giro assurdo e il viaggio dura un giorno. Guardando la mappa ci sembra che si stia giocando a Risiko, "they play game"... "who's they?"... "they, the governments" mormora Issa. All'improvviso entra un volontario dello Lcd e ci dice che è meglio uscire in fretta: due elicotteri Apache stanno sorvolando la zona. Sulla strada alcuni ragazzi palestinesi urlano verso gli elicotteri: ‘Sparateci, siamo qui’. Il nostro amico ci dice che le nuove generazioni sono assuefatte a questa realtà, l'unica che conoscono. Ora la città è immobile. Tutti guardano il cielo. È orribile camminare con gli Apaches che ti volano sulla testa. Issa cerca di esorcizzare la nostra paura, scherza, "this is a very crazy world" ci dice sorridendo. Riusciamo a tornare a casa dopo ore, cambiando vari mezzi, passando altri check-point. Guardando indietro vediamo soltanto due giorni di follia. Fuori stanno ancora sparando. E noi non abbiamo più parole".
L'Associazione papa Giovanni XXIII è un'aggregazione ecclesiale, riconosciuta dall'Autorità ecclesiastica , che da oltre venti anni opera nel vasto mondo dell'emarginazione sia in Italia che all'estero secondo lo stile della condivisione diretta di vita con gli "ultimi". Dal 7 ottobre 1998 l’Associazione è stata riconosciuta come associazione internazionale privata di fedeli, dal Pontificio Consiglio dei laici. Il sogno che la comunità Papa Giovanni XXIII porta avanti e propone alla Chiesa ed alla società è la società del gratuito, società che ha come cardini la condivisione e la gratuità. I membri che ne fanno parte si impegnano a vivere la medesima vocazione, condividendo direttamente la vita degli ultimi, dei più poveri.
I fatti descritti si riferiscono all’ultimo fine settimana. "Oggi siamo a Ramallah sotto le bombe degli F16. Ieri sera eravamo a Gerusalemme, dove si è fatto saltare in aria il kamikaze. Vorremmo riuscire a comunicarvi ciò che stiamo provando. È difficile. Il rumore delle bombe è uguale, ‘di là’ e ‘di qua’.
"Proviamo a raccontare. Ieri sera abbiamo sentito lo scoppio, nel quartiere ultraortodosso di Mea Sharim. È la fine dello Shabbat. Le famiglie passeggiano numerose per le strade attorcigliate sulla collina. Spingono i passeggini sulle salite, i bimbi si alternano dalle braccia dei padri a quelle più esili delle madri. Quelli più grandi camminano al fianco dei genitori. Noi siamo qui, non per curiosità ma per tentare di capire. La gente sbigottita, attonita. I più giovani sono arrabbiati. ‘Ci stanno ammazzando!’, ci urlano. Si parla di 5, 8, 9 morti, tra cui dei bambini. Una macchina, un uomo- bomba, non si capisce niente. Torniamo a casa. Abitiamo nel quartiere musulmano, a Gerusalemme Est, ai confini della città vecchia. Siamo un po' scioccati, incontriamo Saed, il palestinese che ci ospita, e gli raccontiamo. Sono morti dei bambini, diciamo e lui ci risponde che sì, è vero, ma ogni giorno muoiono dei bambini, dei bambini palestinesi e noi non ne parliamo, la nostra stampa occidentale non ne parla, poi quando c'è un attentato contro gli israeliani, tutto il mondo si indigna e i palestinesi diventano tutti terroristi.
Questa mattina, arrivati al check-point di Qalandia, al confine con i Territori Occupati, non ci fanno entrare, neanche con il passaporto europeo. Non passa neppure la stampa. Un amico palestinese ci indica una via alternativa per evitare i militari. Arrivati alla periferia di Ramallah sentiamo le raffiche. Ci copriamo la testa e per la prima volta abbiamo davvero paura. Riusciamo a raggiungere il centro della città, dove ci aspetta Issa Samandar, coordinatore del ‘Land Defense Committee’ (Ldc), un gruppo di volontari che si oppone alla distruzione delle case palestinesi effettuata sistematicamente dai bulldozer israeliani, fornisce assistenza legale alle vittime, monitora gli insediamenti dei coloni. L'associazione lavora in tandem con l'associazione israeliana "Israeli Committee Against House Demolition" (Icahd)".
"Ramallah è sotto i bombardamenti degli F16 israeliani. Siamo allibiti nel vedere come la gente, seppure la tensione sia fortissima, continui comunque le proprie attività quotidiane. Per loro da 16 mesi tutto questo è la normalità. Andiamo con Issa nel suo ufficio che ci dicono sia un posto sicuro. Durante il tragitto ci racconta che per arrivare da noi, i coloni e i militari gli hanno sparato sulla macchina due volte. Ci sentiamo più protetti anche se gli scoppi delle bombe sono molto vicini. Parliamo un po' e lui ci mostra una mappa della Palestina, ci mostra dove sono ubicati i check-point e l'espansione degli insediamenti. Dopo gli accordi di Oslo, le colonie sono cresciute in modo esponenziale. Comprare una casa costa un sesto rispetto alle città israeliane. I check-point sono distribuiti strategicamente e per andare da un villaggio a un altro che dista mezz'ora a piedi bisogna fare un giro assurdo e il viaggio dura un giorno. Guardando la mappa ci sembra che si stia giocando a Risiko, "they play game"... "who's they?"... "they, the governments" mormora Issa. All'improvviso entra un volontario dello Lcd e ci dice che è meglio uscire in fretta: due elicotteri Apache stanno sorvolando la zona. Sulla strada alcuni ragazzi palestinesi urlano verso gli elicotteri: ‘Sparateci, siamo qui’. Il nostro amico ci dice che le nuove generazioni sono assuefatte a questa realtà, l'unica che conoscono. Ora la città è immobile. Tutti guardano il cielo. È orribile camminare con gli Apaches che ti volano sulla testa. Issa cerca di esorcizzare la nostra paura, scherza, "this is a very crazy world" ci dice sorridendo. Riusciamo a tornare a casa dopo ore, cambiando vari mezzi, passando altri check-point. Guardando indietro vediamo soltanto due giorni di follia. Fuori stanno ancora sparando. E noi non abbiamo più parole".
L'Associazione papa Giovanni XXIII è un'aggregazione ecclesiale, riconosciuta dall'Autorità ecclesiastica , che da oltre venti anni opera nel vasto mondo dell'emarginazione sia in Italia che all'estero secondo lo stile della condivisione diretta di vita con gli "ultimi". Dal 7 ottobre 1998 l’Associazione è stata riconosciuta come associazione internazionale privata di fedeli, dal Pontificio Consiglio dei laici. Il sogno che la comunità Papa Giovanni XXIII porta avanti e propone alla Chiesa ed alla società è la società del gratuito, società che ha come cardini la condivisione e la gratuità. I membri che ne fanno parte si impegnano a vivere la medesima vocazione, condividendo direttamente la vita degli ultimi, dei più poveri.