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Burkina Faso: "Noi i Pigmei", un Documentario Sugli 'Schiavi' del Continente
Malmenati a bastonate, tramandati di padre in figlio come schiavi, la loro vita non vale più di mille franchi cfa (1,3 euro): è questa la condizione dei pigmei raccontata in un efficace quanto crudo documentario dal titolo "Nous les pygmée" ('Noi i pigmei') durante la settimana di proiezioni del Fespaco, il più importante festival del cinema africano in corso a Ouagadougou in Burkina Faso. Attraverso un viaggio che ha portato il regista, il camerunese Said Penda, sino all'interno delle foreste pluviali del Congo Brazzaville, il film conduce lo spettatore a contatto con i più antichi abitanti del cuore verde dell'Africa. Un popolo che oggi subisce l'avanzamento dello sviluppo e dello sfruttamento forestale all'interno dei propri territori. Privati del proprio habitat, i pigmei sono stati resi schiavi dei loro padroni bantu. In cambio di qualche stecca di sigarette e qualche spicciolo, i pigmei sono costretti a coltivare, cacciare e servire il "patron". "È assurdo - ha detto Penda durante la presentazione del film - come, dopo tutto quello che abbiamo passato con lo schiavismo, siano degli africani a fare questo a dei loro fratelli". Con l'arrivo degli immigrati, nelle foreste sono giunte anche le malattie e la popolazione dei pigmei sta morendo, decimata da lebbra e vaiolo. Con le sue immagini crude, anzi crudissime, al limite della sopportabilità, il film di Penda ha scosso visibilmente il pubblico presente, costretto ad ammettere alla fine della proiezione di sapere poco o nulla della condizione dei pigmei. Da cacciatori nomadi che vivevano nelle foreste dell'Africa centrale, i pigmei (o Batwa, Bambuti, Bayaka, Bagyeli a seconda delle regioni) hanno dovuto progressivamente abbandonare il loro habitat naturale con l'avanzare della deforestazione e l'ingresso nei loro territori di agricoltori e pastori, ma anche con le campagne ambientaliste degli anni '60 che durante la creazione dei grandi parchi naturali videro gli ecologisti unirsi ai governi nazionali per espellere forzatamente i pigmei da tutte le zone decretate riserve e parco, sulla scia di coloro che sostenevano l'incompatibilità tra la conservazione dell'ambiente e la presenza di popolazioni indigene. Allontanati dalle loro terre senza alcuna compensazione (meno del 2% dei Batwa è proprietario terriero), il processo di emarginazione dei pigmei ha preso il sopravvento. Secondo l'organizzazione Refugees International (Ri), i Batwa sono considerati cittadini di seconda classe in molti aree del continente. "La percezione popolare è che siano incivili, barbari, selvaggi, sporchi e, soprattutto, subumani, il che giustificherebbe la loro esclusione sociale", sottolinea 'Ri'. In molte zone condividere il cibo, la panchina o anche socializzare in pubblico con i pigmei è ancora considerato un 'tabù'. Qualcosa però sta cambiando, i "danzatori degli dei", come li definivano gli egiziani quattro mila anni fa, hanno cominciato negli ultimi dieci anni a costituire delle proprie organizzazioni per rivendicare i propri diritti legittimi. Alcune si stanno adoperando per il loro diritto alla terra, per un loro accesso ai parchi, vista la loro innata capacità di conservazione. Altre lavorano per un'integrazione nella società, attraverso l'educazione, l'assistenza sanitaria, opportunità di lavoro e una voce nei processi decisionali al pari degli altri cittadini. Alcuni progressi sono stati fatti: l'Unesco sta promuovendo il diritto alla terra per i Batwa nelle zone di conflitto; in Uganda il loro inserimento come guide nei parchi ha accresciuto il loro rispetto. I pigmei, del resto, hanno sempre avuto un ruolo particolare nella tutela delle foreste. "La foresta è la nostra casa; quando lasciamo la foresta, o se la foresta muore, anche noi moriremo, Noi siamo la gente della foresta" dice Moke Mbuti, un pigmeo. (per la MISNA, Emanuele Piano da Ouagadougou)