Sabato 19 ottobre verrà assegnato a Brescia il premio ‘Cuore Amico’, più conosciuto come il ‘Nobel missionario’. Tra i vincitori di quest’anno c’è suor Lucia Sabbadin, delle maestre di santa Dorotea. La religiosa è medico all’ospedale di Bukavu, regione del Kivu, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Suor Lucia è da molti anni in Africa, prima in Burundi e poi in Congo. L’ospedale nel quale presta la propria opera fu costruito nel 1929 ed ha avuto sempre vita difficile. Dal 1995 i quindici padiglioni del nosocomio sono stati dati in gestione alla diocesi, che nel frattempo aveva dato vita ad una facoltà di medicina. La situazione era drammatica. "Solo gli edifici erano in piedi, tutte le attrezzature e le infrastrutture erano fatiscenti - ci dice Suor Lucia - così io, le altre suore e pochissimi medici decidemmo di metterci al lavoro. Presentammo un progetto di finanziamento alla Comunità europea, ma la proposta fu bocciata". Interpellarono, a quel punto, i governi del Belgio, della Francia, la cooperazione internazionale ed arrivarono dei fondi che permisero di ristrutturare gli edifici e di creare nuovi reparti. Le tecnologie, se raffrontate con quelle dei nostri ospedali occidentali, erano il minimo indispensabile e forse meno, ma il coraggio dei medici, del personale paramedico, degli amministratori e la volontà di far funzionare la struttura da quel momento sono stati in grado di superare qualunque difficoltà. A Bukavu oggi manca un defibrillatore, ma un ecografo ed una macchina per l’endoscopia ci sono. Le sale operatorie lavorano, ma gli apparati per anestesia e rianimazione hanno bisogno di essere rinnovati. Si deve costruire un reparto per i bimbi malnutriti. I medici in servizio sono diventati 20, di cui 7 specialisti, tutti africani ad eccezione di suor Lucia. L’ospedale è anche clinica universitaria e nel giro di due anni si è passati da 29 a 40 tirocinanti. L’importanza del nosocomio è grande non solamente per l’assistenza che è in grado di offrire, ma anche per la capacità di formare nuovo personale in un Paese in cui i medici sono un bene raro e prezioso. "La guerra continua, ma anche la ricostruzione", ci ha detto con tono sereno suor Lucia. Dopo il ritiro delle truppe ruandesi, iniziato il 27 settembre, e la fine dell’occupazione militare la situazione oggi è molto complessa. Non si sa chi controlli realmente il territorio, cosa succederà domani. Tuttavia i medici continuano a lavorare, a combattere ogni giorno la loro battaglia pacifica per la popolazione civile. "Viviamo con quello che i nostri pazienti ci danno e qui le persone sono poverissime. In Africa si cura chi ha soldi per pagare, gli altri rimangono abbandonati a se stessi. Noi accettiamo tutti, è la nostra missione" ha insistito suor Lucia.