sab, 10 maggio 2025

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America Latina: Tupinikim e Guaraní in Amazzonia

Si odono canti, grida di gioia e rumori secchi di tronchi recisi che piombano a terra nelle foreste di Aracruz, nel nord dello Stato di Espirito Santo, scenario quasi surreale dove al posto della vegetazione amazzonica della ‘Mata Atlantica’ appare oggi una distesa omogenea di eucaliptus. Un ‘deserto verde’, come lo hanno ribattezzato gli scienziati, perché ormai nessun’altra forma di vita vi si riproduce, fatta eccezione per l’albero dall’alto fusto originario dell’Australia grazie al quale l’impresa ‘Aracruz Celulose’ è diventata il maggiore esportatore mondiale di cellulosa. A ogni albero abbattuto, le grida riprendono: sono centinaia di indigeni Tupinikim e Guaraní, armati di arco, frecce e seghe, i volti dipinti con i colori di guerra, che danno vita a un evento annunciato da tempo, il recupero di 11.000 ettari di terre ancestrali occupati abusivamente dalla ‘Aracruz Celulose’ grazie a concessioni ottenute fin dai tempi della dittatura militare negli anni ‘70. È capitato raramente di vedere un indigeno abbattere un albero: “La natura è la nostra Madre, non le faremmo mai del male, ma è proprio l’eucaliptus che l’ha devastata, rendendo aride le nostre terre, inquinando i fiumi, uccidendo gli animali” dicono quasi all’unisono guardando l’immensa piantagione. Tutti, anche le donne, gli anziani e i bambini, appartenenti alle sette comunità Tupinikim e Guaraní della regione, partecipano alla ‘festa del riscatto della terra’ e sono pronti ad andare avanti per molti giorni, grazie a bisacce colme di cibo e borracce d’acqua per tutti. Lo avevano scritto al ministro di Giustizia Thomas Bastos: “La Costituzione è dalla nostra parte, ricostruiremo i nostri villaggi, ripianteremo le nostre speranze”. Già nel 1997, la Fondazione nazionale dell’indio (Funai), organo del governo federale, aveva riconosciuto circa 18.000 ettari di terre nell’area di Aracruz come terre tradizionali degli indios; con un atto incostituzionale, come verificarono in seguito le autorità competenti, nel 1998 l’allora ministro di Giustizia Iris Rezende pensò bene di ridurre per decreto la porzione di terra destinata ai nativi, lasciando alle comunità solo 7.000 ettari. Di fronte alle proteste dei Tupinikim e Guaraní era stata addirittura mobilitata la polizia militare. “Siamo stati prelevati dalle nostre capanne e portati a Brasilia per firmare un accordo con Aracruz Celulose” scrivono gli indigeni al ministro di Giustizia; “Avremmo perso tutto se non avessimo accettato la loro proposta di continuare a sfruttare i nostri terreni per 20 anni in cambio di una somma in denaro e servizi assistenziali. Ma l’accordo è nullo, lo ha stabilito la procura generale di Espirito Santo, e ci auguriamo che ora lei si esprima a nostro favore, facendo valere i nostri diritti”. La battaglia dei Tupinikim e Guaraní non è passata inosservata: il ‘Movimento de pequenos agricultores’ (Mpa) si è unito a loro denunciando l’impossibilità di sopravvivere con l’agricoltura familiare di fronte al dilagare della monocoltura. “Gli indios oggi sono un esempio per tutta la società contadina brasiliana. Stanno dando un segnale alle multinazionali, dimostrando che non sono invincibili” dice il coordinatore regionale del Mpa, Valmir Noventa. L’aspetto giudiziario della vicenda in realtà è tutt’altro che concluso: un ricorso presentato da ‘Aracruz Celulose’ pretende che gli indios abbandonino immediatamente i terreni recuperati, pena una multa di 1.000 reais ogni giorno di permanenza e il loro eventuale arresto; l’appello è già stato contestato dalla procura generale di Espirito Santo e ora tutto è nelle mani del giudice Gustavo Arruda Macedo. “É la terza volta che tentiamo di riprenderci le nostre terre e continueremo a lottare per il nostro diritto più sacro” dice, senza nascondere la commozione, Antonio dos Santos, ‘Antonino’, l’indio più anziano tra gli oltre 500 presenti. Il pensiero corre ai fratelli ‘mapuche’ cileni – gli ‘uomini della terra’ – che hanno visto distruggere i soli boschi di araucarie esistenti al mondo, soppiantati da pini ed eucaliptus destinati alla produzione di legno e carta pregiata da esportare. “Tutto questo fa male alla Madre Terra, distrugge la sua essenza e le nostre radici, minaccia la sopravvivenza dei nostri figli” dice ancora ‘Antonino’. Tupinikim e Guaraní continueranno a lottare per una ‘terra senza mali’, antico mito dei loro popoli che racchiude in sé la speranza della conquista di una terra libera dal dolore, dalla morte e dallo sfruttamento: un luogo “dove le piante nascono da sole, la manioca viene subito trasformata in farina e la preda arriva morta ai piedi dei cacciatori. Là le persone non invecchiano e neppure muoiono e non c'è sofferenza". E non esistono eucaliptus. (di Francesca Belloni)

Scheda dettagli:

Data: 19 dicembre 2005
Fonte/Casa Editrice: Misna
Categoria:
Sottocategoria:
Zen

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