Vorremmo essere forti. Sempre.
Vorremmo essere noi a gestire le conseguenze, i fatti, le linee dei processi della vita.
Vorremmo disporre delle possibilità, distribuendo a nostro vantaggio abbondanza e scarsità, gioia e dispiacere, fortuna e sfortuna, salute e difficoltà o malattia.
Ci proviamo. Cerchiamo di evitare le cose che non ci piacciono, che non ci aggradano o che son scomode da portare. Vorremmo essere noi a gestire le regole del gioco.
Eppure siamo fragili.
Siamo fragili come farfalle, o come ragnatele nella brina del mattino. Siamo fragili come foglie che cadono, leggere.
Siamo semplicemente sospesi in una incommensurabile fragilità, che attraversa il Tutto.
Ogni cosa nelle sue profondità forse è tanto potente quanto fragile; soprattutto se riguarda la vita.
La fragilità è un'incredibile sacra bellezza che abbiamo dentro.
Una delicatezza estrema, quel soffio sottile che si disperde in un attimo se non lo si coglie: è ciò che ci avvicina alle profondità del Femminile.
Non siamo in grado di esprimere quanto sia profondamente intenso e sottile: è una sacralità che non si definisce, ma si sente.
Quando le onde o le nebulose di fragilità attraversano i nostri universi interiori, ci sentiamo all'inizio un pò persi, forse. Ma a guardare bene, a raccogliere l'invito, a scendere in profondità, si raccolgono frutti delicatissimi, cose del proprio essere che stanno sospese come filamenti di grazia.
Sono cose che si dissolvono come un sogno quando torniamo nella mente e nei suoi travagli.
Per mantenerle si deve sospendere il giudizio: è la formula magica che apre le porte del fragile.
Sospendere il giudizio: se lo si accoglie ne viene qualcosa.
La fragilità è ciò che siamo, una parte almeno. Quella più vicina alle cose del mondo: che tutte passano, perché sono rette dal tempo come fili o trame che poi verranno rilasciate nel Tutto per tornare nuovamente in un soffio di vita.

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