dom, 05 maggio 2024

L'Anfratto

Dalla scaletta di legno ruvido scendo in uno spazio angusto, che sono senza sorriso.
Lì sotto è tutto più piccolo di quello che c’è fuori, tranne noi che siamo sempre gli stessi e che dobbiamo curvarci per proteggere la testa dal soffitto basso.
- Non potevamo scegliere un posto migliore per fare la riunione?
Non c’è risposta a una domanda come questa e non resta che approfittare di quello che offre la stanza. Adocchio una sedia a sdraio in miniatura, fatta di assi incrociate e di tessuto grezzo.
- Io prendo quella! – e striscio a carponi lungo il pavimento misurandone le dimensioni.
"Quando sarò lì – penso - deciderò se e come sedermi".
Dall’altra parte della stanza, vicino all’unica finestra che dà su un vicolo fuori mano, Pietro mi osserva sgattaiolare tra gli assi del pavimento. Il suo sguardo è diverso da come me lo ricordavo, anche i capelli lo sono e anche tutto il resto.
"E’ diventato un altro…" penso. E poi ancora "Non è certo quello di una volta".
La situazione però offre molto più che semplici ricordi sbiaditi dal tempo e dal fumo di sigaretta. Per quanto schiacciati ci troviamo ad essere in quel anfratto di mondo, il solo essere lì a decidere i destini della folla soprastante è un fatto eccezionale. Almeno per me, che non so fare di conto e non sono fatto certo della stessa pasta dei colleghi che ho di fronte.
Solo pochi minuti prima eravamo seduti sugli scalini della fontana e Flavio, il secondo del gruppo in termini di importanza, si faceva in quattro per spiegarmi le fasi del nostro agire futuro.
Indossava un completo blu notte di seta luccicante e una cravatta scura.
- Tu devi pensarti come un punto sul grafico dal quale partono dei vettori.
Parlava bene, se era per quello, ma io non capivo un accidenti di quello che voleva dire. Ma lui continuava imperterrito:
- Vedi, quello che dobbiamo fare è semplificato da questo rettangolo qui sopra, mentre tutti gli altri soggetti coinvolti nell’azione sono simboleggiati da queste piccole sfere.
Leggevo nei suoi occhi la stessa calma tempestosa che avevo visto nei politici della televisione. Era passato così tanto tempo dall’epoca in cui ne avevo frequentati in abbondanza che mi ero dimenticato che faccia avessero, dal vivo.
- I tuoi vettori devono partire in tutte le direzioni - diceva ancora - per stimolare le forze in gioco devi agire così e così e così…
La piazza gremita di gente brulicava dietro le nostre spalle e io sapevo che la lungimiranza di quell’uomo non era abbastanza da leggermi la mente. Una cosa così, per me, significava anche che sia l’uno che l’altro appartenevano ad una razza minore.
Non è la diversità di linguaggio a creare distanze tra gli uomini, ma la natura delle loro ambizioni. Per la mia ragione sfibrata da un ventennio di prove non era concepibile pensare di sollevare dall’ingiustizia quella massa inerme attraverso certi metodi così raziocinanti. Da quel poco che avevo capito tutto si risolveva in uno schema a blocchi, con forze di vettori che si spostavano da un punto all’altro di un grafico immaginario.
Era come se mi trovassi in un accampamento di militari a decidere assieme ai generali la strategie di guerra da tenere. L’ idealismo di un tempo, che li aveva resi ai miei occhi degni di rispetto, era stato sostituito da una sete ardente di potere. E scendendo a quattro zampe verso l’anfratto arredato di miniature avevo capito di cosa si trattava.
Era una specie di gioco di orientamento, per quanto folle, uno slalom sciistico attraverso leggi e protocolli. Un modo come un altro per raggiungere in velocità il fazzoletto penzolante dalla mano dell’arbitro. Stavano giocando a far girare il mondo come dei bambini privi di piacere. L’unico vero piacere però, se di piacere si poteva parlare, era trovarsi in quel misero luogo posto a decidere le sorti di quegli altri che stavano fuori a blaterare. La parola giusta per un affare come questo credo sia legiferare.
- Ma come facciamo a renderci conto se funziona? – ho chiesto, per spostare la loro attenzione lontano il più possibile dal mio vestito da magazzino all’ingrosso.
E poi sono rimasto ad aspettare in silenzio, inginocchiato ai piedi della sedia.
Ricordo lo sguardo di Pietro sezionarmi dall’alto verso il basso mentre risponde:
- Funzionerà, vedrai…. – e poi subito dopo – Ma non devi sottovalutare la tua immagine. Che funzioni o meno dipende anche da questo.
E’ stato lì che il mondo si è confuso e ho lanciato le dita della mano nel buio per interrompere il frastuono della sveglia.

Il resto è storia di un giorno come tutti gli altri.



Nicola Artuso

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Data: 2 dicembre 2002Autore: Nicola Artuso
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