ven, 29 marzo 2024

Maestro è colui che ti porta ad essere il tuo stesso Maestro!

Paolo D'Arpini simpatico
Ci sono due categorie di persone che piacciono ai potenti: i leccaculo, adulatori per mestiere, che campano di piaggeria e frode e poi gli ipocriti, falsi critici, che alla prima occasione svendono la propria filosofia in cambio di prebende e favori. Dell’una e dell’altra io non faccio parte ed è per questo che sono ancora “fermo” all’infanzia. Ovvero sono ancora un bambino che guarda il mondo con i suoi occhi e dice quello che vede.

Questo modo d’essere lo ho appreso “tempo addietro” da una maestra ed un maestro che ebbi nella scuola elementare, furono loro che con l’esempio concreto, attraverso il proprio comportamento pulito, istillarono in me le qualità della nobiltà d’animo. Stranamente entrambi potrebbero essere considerati dei “falliti” –dal punto di vista della carriera- due vecchi insegnanti rimasti immobili ai primi gradini della scala gerarchica, in fondo erano due emarginati che insegnavano in piccole scuole degradate di periferia… ma per loro educare era una missione.

Ma lasciamo da parte queste considerazioni che ci porterebbero altrimenti a crudeli analisi sullo stato attuale della scuola, soprattutto dopo le ultime decisioni governative di rivedere il modello della scuola primaria ed elementare pubblica.Il fatto è che i bambini nella nostra società non sono più incentivati a pensare con la loro testa, a crescere riconoscendo i valori dell’etica e del bene comune, essi sono strumentalizzati e visti in chiave di utilità commerciale, di proposizione politica o religiosa, ed inquadrati sin da piccolissimi nella schiera dei consumatori, semplici ingranaggi funzionali. Non son loro gli esseri umani che erediteranno la terra? No, insignificanti rotelline di un meccanismo cartesiano e minimalista.


Eppure Gesù disse: “lasciate che i pargoli vengano a me…” Ed intendeva additare la loro onestà come esempio per l’uomo, esaltava la loro innocenza e capacità intuitiva priva di interessi e schemi… Purtroppo quella metafora non è stata ascoltata dai politici e dai religiosi che mantengono tutt’altro atteggiamento nei confronti dell’infanzia. Ciononostante casualmente appare qualche giovane saggio che è in grado di gridare “il re è nudo”. A questo proposito mi sovviene una storiella, forse vera e comunque verosimile, la ho appresa da Osho, ed il fatto sembra accadde realmente in una scuola missionaria d’oltre oceano.

Un prete svolgeva la sua opera apostolica in uno sperduto villaggio nella foresta amazzonica. La missione si presentava bene, prima aveva preso in cura i malati, poi era passato agli anziani e poveri infine aveva costruito una chiesa con un oratorio per poter insegnare la religione ai bambini. Un giorno stava spiegando la bibbia e raccontava la storia dell’uomo, del peccato originale, della faticosa via verso il bene e di come il compassionevole Gesù fosse venuto in terra per redimere i peccatori che si erano pentiti ed affidati a lui. Dopo aver così istruito i bambini, per vedere se avessero capito bene il concetto della religione cristiana, chiese ad alta voce alla classe: “Ecco dopo aver ascoltato quel che ho detto chi sa dirmi in sintesi qual è il messaggio della religione?”. Subito un ragazzino sveglio si alzò e disse: “Io l’ho capito, il messaggio è che bisogna peccare”. “Come sarebbe a dire – interloquì il prete- se ho parlato male del peccato dall’inizio alla fine?”. “Tu hai detto che l’uomo è un peccatore, ma egli deve necessariamente peccare per poi potersi pentire e prendere rifugio in Gesù che lo salva… Senza peccato quindi non c’è redenzione”.

Questa storia fa un po’ ridere ma anche un po’ piangere giacché ci fa vedere come la permeabile mente infantile assorba e si adegui al messaggio che viene trasmesso.

Tornando al discorso dell’educazione infantile rilevo con meraviglia che il modello steineriano è stato entusiasticamente accolto in paesi poveri, come ad esempio l’India, mentre viene osteggiato e negletto qui in Italia, suo paese d’origine… ma questo la dice lunga sul tentativo in corso di controllare e dirigere le coscienze infantili. Ed è il meccanismo perverso della “conversione” ai bisogni sociali delle duttili menti dei bimbi. Questa odierna utilizzazione impropria della scuola è –secondo me- persino peggiore dell’impiegare la gioventù al “libro e moschetto” dell’era fascista.


L’uso dei bambini ai fini consumistici è evidente senza descrizioni ulteriori basta sfogliare qualsiasi rivista e si constata che il 70% della pubblicità è rivolta od utilizza i giovani come esca… Nessuna meraviglia poi che nella società sia ogni giorno più evidente il degrado morale, violenza, pedofilia e prostituzione minorile. E poco tampona la stura immonda il perbenismo finto e la religione di facciata.

Ma non voglio terminare questo articolo con un messaggio disperato, anzi vorrei concludere questa mia riflessione sull’infanzia con un elemento positivo.

Ed ecco la buona notizia. Controcorrente l’affermazione dura di molti bimbi maleducati che dicono “questo è mio” oppure “voglio (o non voglio) questo..” il mio nipotino Sava, che vive a Calcata, ed al quale nulla viene suggerito o negato perentoriamente e senza che nessuno di noi lo abbia specificatamente imboccato dice “questo mi piacerebbe” oppure “vorrei (o non vorrei) questo o quello…” e da questo condizionale ne nasce un dialogo costruttivo da cui viene fuori la paritetica possibilità di accettare o respingere senza assolutismi.Tra l'altro - proprio recentemente- la madre di Sava si lamentava per l'insofferenza del bambino ad ogni regola imposta e cercando di ammorbidire le sue ritrosie gli ha chiesto "ma insomma cos'è che ti da tanto fastidio?" e lui "che mi comandino..". Evidentemente è sempre meglio dialogare e lasciare che le opinioni si sviluppino sulla base di un ragionamento e di una considerazione condivisa.


Paolo D’Arpini

Scheda dettagli:

Data: 5 marzo 2014Autore: Paolo D'Arpini
Fonte/Casa Editrice: Paolo D'Arpini
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Paolo D’Arpini - Circolo vegetariano VV.TT.

Nella mia vita non ho mai avuto un dono spiccato per la modestia, ho sempre considerato me stesso e la mia opera come un degno percorso evolutivo. Abitando a Verona avevo già collaborato, nel 1967-68, ad una rivista locale che si chiamava Verona Beat, un cult tipico di quegli anni, ebbi la fortuna…

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