gio, 25 aprile 2024

Il concetto di Dharma nella Baghavad Gita

dharma
“Tenendo conto del tuo dharma, non devi tentennare. Per un guerriero,
non c’è niente di meglio che combattere il male. Il guerriero che
affronta una guerra siffatta dovrebbe essere contento, Arjuna, perché
essa si presenta come un cancello aperto per il cielo. Ma se non
partecipi a questa battaglia contro il male, subirai l’onta, violando
il tuo dharma e il tuo onore.” (Bhagavad Gita II, 31-33)

Spesso ci si chiede se e come l'insegnamento advaita (non-duale),
punta di diamante della filosofia indiana, possa essere di vantaggio,
o semplicemente recepito dalle menti occidentali estremamente
speculative e dedite all'empirismo dualistico. In effetti solo alcuni
cercatori di verità, che santificano la loro esistenza alla ricerca di
Sé, sono veramente interessati alla Conoscenza ed alla Consapevolezza
della unitarietà e inscindibilità della vita, manifestata nelle sue
singole parti (individui) come in una sorta di ologramma che ripete in
ogni sua frazione la conoscenza dell'intero.

Eppure nella tradizione induista esiste una scrittura di matrice
non-dualistica che cerca di integrare un insegnamento di attuazione
dharmica (espletamento delle proprie mansioni in armonia tra le
propensioni innate e la spinta evolutiva) con la teoria dell'Assoluto
che tutto contiene ed in cui tutto si manifesta per sua spontanea
emanazione. Questo testo è la Bhagavad Gita, la parte più spirituale
del poema epico il Mahabharata.

Nella Bhagavad Gita viene affermato egualmente che "Tutto è Uno" e che
l'Atman (L'IO Assoluto) è già perfetto in se stesso ed è presente,
come intima natura, in ognuno di noi, ma allo stesso tempo vengono
impartiti dei consigli (od istruzioni) sul come realizzare questa
verità. In un certo senso nel testo il saggio Krishna rivolgendosi
metaforicamente ad Arjuna, il suo discepolo, lo incita ad agire, come
se il piccolo io (ego), che egli riconosce come il suo sé, fosse
reale. Allo stesso tempo lo istruisce a non considerare come propri i
vantaggi o gli svantaggi del suo agire ma come semplice conseguenza di
un espletamento dharmico.

Questo atteggiamento interiore di agire con "distacco" è considerato
anche nella dottrina buddhista dell’anatman, secondo la quale l’uomo
è privo di ogni “io” e persino del Sé, mettendo però in guardia il
cercatore su tali insegnamenti che possono, se divulgati
indiscriminatamente e interpretati in modo non appropriato, produrre
risultati decisamente deleteri. Nagarjuna stesso, grande logico
buddhista e fondatore del Vacuismo o Via di Mezzo (Madhyamaka),
avverte: «La vacuità, male intesa, manda in rovina l’uomo di corto
vedere, così come il serpente male afferrato o una formula magica male
applicata».

Per questo, l'insegnamento di Krishna contiene indicazioni
apparentemente contrastanti, a volte viene indicato l'Assoluto come
unica realtà, tal altra si incita a considerare accuratamente le
convenienze e le opportunità dell'agire dharmico.

Forse questo altalenare fra la libertà e la giustizia è ciò che
veramente è necessario alla mentalità occidentale, il cui procedere
diretto in una linea retta, essenzialmente giustificato da ragioni
contingenti ed utilitaristiche (definite anche scientifiche per dare
loro un senso compiuto) ha fatto perdere agli individui la capacità di
personale discernimento e discriminazione.

Ma la verità non è qualcosa che può essere trasmessa come una comune
conoscenza delle cose esteriori, come un processo. La verità è la
qualità dell'Essere e può essere sperimentata solo direttamente e non
raccontata.

I grandi misteri imperniati sul silenzio non si profanano impunemente.
Accostarsi ad essi con leggerezza o credere di poterli trasmettere
senza le dovute qualificazioni espone a gravi rischi: in primis la
follia e la perdita dell’orientamento. Il linguaggio comunemente usato
(vaikhari) possiede solo un quarto del potere della parola; i rishi
vedici sostenevano che esso non può descrivere la traccia lasciata da
un uccello nell’aria. Da ciò la necessità di percepire la propria vera
Essenza attraverso la comunione empatica con un vero Maestro che ha
realizzato in Sé la Verità.

Da ciò se ne deduce che anche la più raffinata scrittura, come può
esserlo la Bhagavad Gita (per non parlare di scritture inferiori come
la bibbia, i vangeli od il corano) non può trasmettere la Conoscenza,
può solo risvegliare un interesse verso la ricerca da parte del
lettore genuinamente interessato alla Verità.

Cosa questa totalmente contraria ai dettami delle religioni che si
basano sul "libro", i cosiddetti testi dogmatici "rivelati" che
portano all’esasperazione del conflitto tra uomo e natura di matrice
ebraico-cristiana, al nichilismo e materialismo impliciti in un certo
buddhismo ritualistico e al dualismo camuffato da non-dualismo
scaturente dalla cattiva comprensione della dottrina advaita in certa
new age – che ritiene il mondo fenomenico una sorta di apparenza né
reale, né irreale (maya). Queste posizioni oscurantiste hanno
favorito lo sviluppo di forme perniciose di scientismo riducenti la
persona ad un mero meccanismo biologico.

Ed è nella Bhagavad Gita che è possibile trovare alcune frasi molto
esplicative sull’argomento, ovvero sul significato dell’agire nel
mondo e della formazione del karma individuale, le quali ovviamente
vanno lette nella comprensione che anche tali insegnamenti sono
un’ignoranza (mascherata da conoscenza) per cancellare altra ignoranza
(che chiamiamo conoscenza empirica). Poiché…la spiritualità è qualcosa
che riguarda l’interiorità dell’individuo e non può essere appresa da
un qualsiasi libro. E questo è esattamente ciò di cui noi occidentali
avremmo bisogno, impregnati come siamo di dogmatismo scientista o
religioso.

Paolo D'Arpini

Scheda dettagli:

Data: 22 agosto 2017Autore: Paolo D'Arpini
Fonte/Casa Editrice: Paolo D'Arpini
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Paolo D’Arpini - Circolo vegetariano VV.TT.

Nella mia vita non ho mai avuto un dono spiccato per la modestia, ho sempre considerato me stesso e la mia opera come un degno percorso evolutivo. Abitando a Verona avevo già collaborato, nel 1967-68, ad una rivista locale che si chiamava Verona Beat, un cult tipico di quegli anni, ebbi la fortuna…

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